domenica, giugno 06, 2010

L'UNIONE EUROPEA A 60 ANNI DALLA DICHIARAZIONE SCHUMAN: UN PROCESSO TUTTORA INCOMPIUTO.















ORISTANO MAGGIO 2010


L’ Unione Europea ha appena compiuto 60 anni. Il 9 maggio 1950, mentre nella gran parte degli Stati ci si rimboccava le maniche per rimettere in moto un’economia distrutta, il ministro degli Esteri francese Robert Schuman rendeva pubblico un progetto, ancora in embrione, che prevedeva la costituzione di un’unica “ Comunità “ Europea del Carbone e dell’Acciaio, la CECA, a cui avrebbero aderito inizialmente Francia, Germania, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo.
La cosi detta Dichiarazione Schuman apriva il nuovo corso della storia europea sotto il segno dell’integrazione politico – economica.
Il seme gettato da Schuman (com’è noto, il vero ispiratore del progetto fu Jean Monnet, considerato oggi uno dei padri fondatori dell’Europa), non era importante solo per i favorevoli risvolti di natura economica che un siffatto progetto poteva costituire per tutti gli Stati partecipanti, ma creava soprattutto le condizioni per evitare che guerre, come quella appena terminata, non potessero più verificarsi, stante la “ messa in comune” da parte delle principali potenze europee delle risorse produttive fondamentali con cui si poteva armare un esercito moderno: carbone e acciaio. Questa comunità di intenti, questa creazione di un’unica gestione delle risorse comuni più importanti, sotto un’unica autorità sovranazionale europea, dava come prima risultante la fine della storica faida tra Francia e Germania, creando i presupposti di una pace duratura. Confermata, successivamente, dai fatti.
Sono trascorsi 60 anni da quello storico giorno: la CECA è diventata con gli anni la Comunità Economica Europea (CEE), poi la Comunità Europea tout court (CE) ed, infine, l’Unione Europea, con gli storici accordi di Maastricht e il varo dell’euro e, successivamente, gli ulteriori passi avanti, ultimo il trattato di Lisbona.
Ma il cammino fin’ora fatto, se riflettiamo, può essere considerato concluso?
Che cos’è oggi l’Unione Europea, e che cosa significa per i Cittadini dei suoi Stati membri? Può sembrare incredibile ma, oggi, a distanza di tanti anni molti cittadini europei avrebbero una certa difficoltà a rispondere al quesito. Si può scommettere che molti non saprebbero neppure spiegare bene che cosa sia l’Unione Europea. In realtà questi concetti poco chiari, questi dubbi, sono facilmente comprensibili e più che legittimi. Dire che cosa sia l’Unione è davvero difficile perché l’Unione non è un organismo politico compiuto! E’ ancora un processo “ in itinere “, quindi incompiuto.
La dimostrazione di questa realtà “ incompiuta “ la possiamo ricavare dalla stessa Dichiarazione Schuman, che nel suo testo sintetico ma chiaro ed efficace prevedeva già, oltre l’ipotizzato accordo di natura economica, i successivi passi che già allora si auspicava dover fare. La Dichiarazione, dopo aver affrontato nei primi paragrafi i problemi di natura economica, infatti, dava nel sesto paragrafo gli indirizzi successivi al primo passo previsto nel trattato. Ecco, per chiarezza e dimostrazione di quanto affermo, il contenuto in parola:
“Questa proposta, mettendo in comune le produzioni di base e istituendo una nuova Alta Autorità, le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i Paesi che vi aderiranno, costituirà il primo nucleo concreto di una Federazione europea, indispensabile al mantenimento della pace”.
Appare fin troppo chiaro che nel pensiero lungimirante di Schuman vi fosse già allora una matura visione di una “ Federazione europea di Stati “; vi era già la certezza e la consapevolezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, di quale sarebbe stato il risultato finale di quel processo che Lui intendeva avviare 60 anni fa, con l’iniziale scopo economico di mettere insieme le risorse, ma destinato successivamente a realizzare una vera “ globale “ integrazione del continente europeo. Era, per quanto non palesemente evidenziato, un vero e proprio “ atto “, preparatorio ed anticipatore della futura costituzione di una vera Federazione europea non solo economica ma anche socio-politica.
Anche l’Italia ha lavorato non poco, in passato, per realizzare questo scopo. Nel suo discorso al Parlamento europeo a Strasburgo il 4 Ottobre del 2000, l’allora nostro Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, nel Suo discorso disse tra l‘altro:
“…Stiamo nuovamente decidendo le sorti del nostro continente, così come ebbero a decidere i grandi statisti degli anni '50. Mezzo secolo di pace, di convivenza operosa fra popoli ripetutamente dilaniati dalla guerra attestano il senso e l'utilità della unificazione europea. Ma sappiamo che il processo è incompiuto e che l'incompiutezza minaccia la sua vitalità…[…] …L'euro è soltanto una tappa nella realizzazione dell'Europa economica, sociale, politica e culturale. La rende inesorabilmente necessaria. Quando fu decisa l'Unione Monetaria si era consapevoli che si formava un'asimmetria, ma si era fiduciosi che questa sarebbe stata eliminata progredendo verso un governo comune dell'economia…”.

I recenti dolorosi fatti di natura economica che coinvolgono uno Stato membro dell’Unione e che impensieriscono tutti i 27 Stati membri, oltre che l’Unione nel suo complesso, non fanno che confermare, dare ulteriore validità ai concetti prima espressi. Non vi può essere, nel lungo periodo, una politica monetaria unica, nata con l’Euro e governata a livello centrale, ma in assenza di una comune ed unica politica fiscale ed economica europea. L’assenza di questo strumento, che viene, invece, gestito e governato, singolarmente da ogni Stato membro, è sicuramente la principale causa delle incertezze e delle debolezze della nostra moneta unica, non accompagnata da un univoco indirizzo economico-fiscale. E’ questo scollamento, questa mancanza di un’unica guida, che sta creando quelle instabilità che oggi stiamo crudelmente toccando con mano.
Instabilità davvero pericolosa e difficile da combattere e che, se cavalcata dai forti “ movimenti incontrollabili “ delle masse monetarie presenti e fluttuanti nel Mercato finanziario globale, possono mettere in serio pericolo non solo la sopravvivenza dell’Euro ma anche, direi soprattutto, quella dell’ Unione Europea.
L’Europa Unita, concepita ormai oltre 60 anni fa, sarà davvero un “processo compiuto” solamente quando sarà stata realizzata un’Europa federale, un’unica vera ed autentica realtà politica, con un potere democratico federale, con un governo sovranazionale espresso da un parlamento composto dai membri dei Paesi federati. In breve, per fare un paragone, un’Europa concepita politicamente come gli Stati Uniti d’America.
La strada è ancora lunga: l’Unione Europea del 2010, 60 anni dopo la Dichiarazione Schuman, non è ancora, purtroppo, una federazione di Stati, come sarebbe dovuta diventare, e tuttavia non è neppure un’associazione fra stati sovrani. Essa pur possedendo alcune strutture federali come il Parlamento, la Corte di Giustizia, la Banca Centrale, l’euro, etc., manca di quel sistema decisionale “ unico “ , tipico dello Stato federale. Questo potere, oggi, è puramente intergovernativo, legato quindi alla singola visione e valutazione degli SM, che continuano ad esercitare, in maniera decisiva e senza deleghe, la propria sovranità. Ecco, se dovessimo dare un nome all’attuale struttura dell’ U. E., anche dopo il trattato di Lisbona, la definizione più appropriata è questa: una FEDERAZIONE INCOMPIUTA.

IL CONCETTO DI FEDERALISMO:
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L’EUROPA TRA EGOISMI E APERTURE DEGLI STATI MEMBRI.
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Ho partecipato al seminario " Conoscere l'Unione Europea per costruire il nostro futuro ", organizzato dal movimento federalista europeo presente presso la facoltà di Scienze politiche dell'Università di Sassari, dove, rinnovato studente, frequento per la terza volta un corso di laurea ( ora quello di laurea magistrale in Politiche Pubblichbe e Governance ).

Le quattro giornate dedicate allo studio ed al dibattito sull’Unione Europea hanno avuto il merito di mettere a fuoco, di rendere noto, ai tanti che ancora si ostinano ad ignorare che il futuro dei popoli europei è strettamente legato alla costruzione di un’unica entità politica, quanto in 60 anni si è realizzato e, soprattutto quanto resta ancora da fare per completare il cammino intrapreso.
Una delle lezioni che maggiormente mi ha interessato è stata quella del Prof. Lucio Levi, docente di Scienza Politica dell'Università di Torino e Presidente del Movimento Federalista Europeo, tenuta nella 3^ giornata dei lavori, e che aveva per argomento “ Quale ruolo per l’Europa nel nuovo ordine mondiale “.
Nell’interessante intervento sono tate messe in luce le non poche “carenze” che, a distanza di molti anni ormai, continuano a permanere nell’incompleto cammino verso l’Unione Europea. Ecco le principali:
- Se è pur vero che l’Europa non ha mai avuto, in passato, un periodo di stabilità e di pace cosi grande, come in questi ultimi 60 anni, è anche altrettanto vero che la mancanza di un’unica direzione strategica rende precaria ed incerta la visione futura.
- L’Europa, dopo avere istituito la moneta unica, ha bisogno di un governo federale per gestire la politica estera e di sicurezza. Ciò le consentirebbe di avere pari dignità nei rapporti con Stati Uniti, Russia e le nuove potenze asiatiche e di poter prendere iniziative efficaci in aree cruciali quali l’Africa, il Medio-Oriente, l’Europa orientale, il Caucaso e la Federazione russa.
- La nascita di un “governo europeo” segnerebbe la fine del mondo unipolare e l’avvio di un mondo multipolare, condizione necessaria per mettere in moto un processo di democratizzazione e di costituzionalizzazione delle relazioni internazionali, basato sulla riforma dell’ONU e sul disarmo nucleare.
Uno dei problemi cruciali affrontati dal Prof. Levi è quello della pace. Pace che per secoli è stata vista non come prezioso periodo aureo, ma pace, invece, come periodo “calmo”, senza guerre, periodo “ negativo”, quindi. La vera pace, invece, è quella che, attraverso gli strumenti e le garanzie messe in atto dalle Istituzioni Internazionali può e deve diventare quella vera, quella “ perpetua “, a cui tutto il mondo dovrebbe tendere e riferirsi.
In un’intervista rilasciata a Marco Riciputti, reperita su Internet, il Prof. Levi in occasione della presentazione di un Suo libro ( trattasi del libro “ Crisi dello Stato e governo del mondo” ) ha cosi dichiarato: “…L’Ue sta vivendo la più grave crisi della sua storia. Ma il nazionalismo è un vicolo cieco...”.
La preoccupazione più grande del Prof. Levi è la disaffezione della gente verso l’Ue: «ma è proprio da qui che bisogna ripartire e trovare uno spazio per rilanciare il processo costituente. A dicembre si terrà a Genova la Convenzione dei cittadini europei : un evento unico nel suo genere, mai avvenuto prima». Coinvolgere di più le associazioni, i sindacati, le autonomie locali e la società civile nel suo complesso è la prossima sfida con cui bisogna misurarsi, ripete ancora nell’intervista il Prof. Levi, che la guerra la conosce bene, come riferisce in altra parte dell’intervista dove afferma: «Non sono più giovanissimo ed ho vissuto l’esperienza della seconda guerra mondiale ed in più sono ebreo; nove dei miei parenti sono stati deportati e morti nei campi di concentramento. L’aspirazione alla pace e il rifiuto della violenza mi hanno accompagnato fin da giovanissimo».
E’ proprio il grande bisogno di sicurezza la sfida più importante del terzo millennio, dove la globalizzazione ha abbattuto antiche barriere: da quelle economiche a quelle culturali e morali. Bisogno di sicurezza riferito sia agli individui, che si sentono sempre più soli ed in pericolo, che alle Nazioni, ai Popoli. Ecco perché è assolutamente necessario superare le remore e gli egoismi dei singoli Stati ed arrivare ad un a comune gestione della politica estera e della sicurezza. Sostiene il Prof. Levi nella Sua relazione:
“…La formazione di un governo europeo responsabile della politica estera e di sicurezza dimostrerà che è possibile fare vivere un’unione di Stati al di là di nazioni storicamente consolidate. L’UE tenderà ad assumere il ruolo di cerniera tra Est e Ovest e tra Nord e Sud, perché ha un interesse vitale, a differenza degli Stati Uniti, a sviluppare relazioni positive di cooperazione con le aree contigue del mondo ex-comunista, del Mediterraneo e dell’Africa. Il primo compito è quello di completare l’unificazione dell’Europa verso Est e verso Sud. Ma nello stesso tempo si impone l’esigenza di rafforzare le istituzioni internazionali (l’OSCE, la Convenzione di Cotonou e il Partenariato Euro-Mediterraneo), che legano l’Europa ai continenti vicini. Se l’UE diventerà indipendente sul piano della sicurezza, l’Alleanza atlantica si trasformerà in un’alleanza tra eguali. Così l’Europa potrà sollevare gli Stati Uniti dalle loro schiaccianti responsabilità mondiali e promuovere la ricostruzione della solidarietà tra le due sponde dell’Atlantico…”.
La chiara visione del Prof. Levi è quella di un’Europa indipendente, che avrà l’autorità per spingere gli Stati Uniti a ricercare nell’ambito multilaterale delle Nazioni Unite la soluzione alle grandi controversie internazionali, ed il potere di convinzione, nei loro confronti, a mettere le loro truppe al servizio dell’ONU per operazioni di polizia internazionale atte a mantenere la pace nel mondo.
Solo se gli Stati che oggi formano l’UE, spogliandosi del loro egoismo nazionalista, saranno lungimiranti e metteranno insieme le loro forze completando quel percorso, oggi ancora “ a metà “, potremo finalmente conoscere quell’Europa a lungo sognata, quell’Europa finalmente Stato Federale Europeo, che rivestita di quello Status giuridico oggi mancante, potrà recitare il suo ruolo di primo che le spetta. Se gli Stati membri prendessero coscienza della grande potenza e capacità che l’Europa federale potrebbe assumere ( l’Unione europea ha una superficie pari a circa la metà di quella degli Stati Uniti, ma con un numero di abitanti superiore di oltre il 50%. Infatti, la popolazione dell’UE è la terza al mondo, dopo la Cina e l’India e conta oltre 495 milioni di abitanti), e del ruolo che potrebbe recitare nel dialogare alla pari con le altre potenze mondiali senza inutili e dispersivi campanilismi, il processo di unione ne verrebbe certamente accelerato.
Siamo in tanti, cittadini europei, a chiederci: sapranno i 27 Stati che oggi compongono l’Unione superare le non poche resistenze nazionaliste che ancora prevalgono e, in un impeto di lungimiranza, abbandonare gli l’egoismi locali per aprirsi ad una vera politica globale comune?

Solo il tempo potrà darci una risposta certa.
Mario Virdis, studente di PPG - Facoltà di Scienze Politiche - Università di Sassari.





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