venerdì, gennaio 13, 2012

DA PINUCCIO MELONI A “MELONISKI DA VILLACIDRO”: L’ARTISTA SARDO CHE FIN DA PICCOLO RINCORREVA I SUOI SOGNI TRA LE NUVOLE.

Oristano 13 Gennaio 2012

Cari amici,

pochi giorni fa mentre cercavo nella mia biblioteca un libro su Oristano mi è capitato tra le mani il libro-catalogo di Riccardo Barletta su “MELONISKI DA VILLACIDRO”,

artista oggi di fama internazionale, sardo fino al midollo, e che, con la forza e la determinazione dei sardi illustri, ha varcato il mare e senza nessun timore ha realizzato i suoi grandi sogni.

Con Pinuccio ci siamo conosciuti da “ragazzi”: era il 1966, io avevo 21 anni e lui 23. Eravamo entrambi impegnati a districarci nei primi meandri della vita lavorativa, io in un’agenzia di assicurazioni mentre Pinuccio curava l’amministrazione della neonata “Casa di Cura Madonna del Rimedio”. Diventammo amici, anche se questo piacevole stare insieme a cullare i nostri sogni durò pochi anni: nel 1969, infatti, Pinuccio lasciando tutti di stucco abbandono l’interessante e ben remunerato lavoro amministrativo per coltivare il suo grande sogno: quello di realizzarsi come artista. Tanti cercarono di convincerlo a restare, a non gettare via un lavoro che avrebbe potuto garantirgli un futuro sereno, ma fu irremovibile. Partì per Parigi, all’avventura, senza una meta precisa.

Lo affascinava Parigi, era li che voleva “Vivere d’arte”, era li che voleva realizzarsi come artista, a qualsiasi costo. Non gli importava se per vivere e respirare quel mondo avrebbe dovuto soffrite anche la fame: lui, come me, non era nato ricco di beni materiali ma certamente ricchissimo di talento! Già da allora il suo sogno era quello di volare con l’aeroplano della sua fantasia, di librarsi tra le nuvole ed osservare, da esteta, il mondo dall’alto, quasi con un occhio particolare, distaccato.

Nell'intervista che nell'Ottobre del 2006, in uno dei suoi ‘ritorni’ in Sardegna, rilasciò a Mauro Manunza de L’Unione Sarda, si abbandonò apertamente ai ricordi della sua infanzia, rivisti con quella sottile ironia che mai lo ha abbandonato. Pinuccio era nato a Villacidro nel 1943, in piena guerra eppure pieno di sogni. Sogni di un ragazzo vispo ma povero, che, pur capace, per necessità, anziché alle scuole superiori e all’Università, terminata la scuola primaria, andò a lavorare in campagna. In campagna amava contemplare il cielo, limpido e terso. Osservava le nuvole scorrere e rincorrersi, e, guardandole, lo assaliva il desiderio di cavalcarle. Avrebbe voluto un piccolo aereo per poterle osservare da vicino, attraversarle quelle nuvole, giocarci a rimpiattino, scomporle e poi ricomporle, anziché guardarle da terra. Non potendole toccare, le amava lo stesso, depositandovi i suoi molti sogni.

Mauro Manunza, raccontando la sua storia lo ha definito “L’artista che dialoga con le nuvole, il pittore di Villacidro col sogno di volare fin da bambino”. Nessun altro titolo poteva essere più appropriato!

Ripercorrendo gli anni della sua infanzia Pinuccio, riaprendo il file dei ricordi, racconta come riuscì, grazie al nobile gesto di un signore (di cui, forse per pudore, non ha voluto rivelare il nome), a lasciare la campagna ed a riprendere gli studi. Aveva, allora, 16 anni. Frequentò così la scuola di avviamento professionale a Gonnosfanadiga, conseguendo regolarmente il diploma. A 19 anni iniziò a lavorare come telefonista in una casa di cura a Cagliari. Le sue capacità lo fecero emergere in poco tempo: i responsabili di quella struttura sanitaria, all’atto dell’apertura di una nuova clinica ad Oristano, gli affidarono l’incarico di coordinatore amministrativo. Correva l’anno 1966, periodo in cui, come ho detto prima, feci anch’io la sua conoscenza.

Le sue riconosciute capacità lavorative, però, non costituivano per lui la massima aspirazione. Pur essendo un lavoro importante e ben retribuito gli stava stretto: nei momenti di pausa alzando gli occhi al cielo la sua nuvola era sempre li che lo aspettava; sembrava ricordargli che proprio lì erano depositati e custoditi i suoi sogni, che solo lui poteva realizzare. Nei tre anni circa che l’ho frequentato non amava parlare mai del suo lavoro, delle sue mansioni, del suo impegno amministrativo, ma dei suoi desideri, delle sue aspirazioni. Il suo più grande desiderio era quello di diventare un artista: con la pittura o con la scultura, con un mezzo, comunque, capace di rappresentare concretamente i suoi sogni. Nello scantinato della Clinica aveva attrezzato un piccolo studio. Ricordo dei vecchi tavoli dove venivano collocati cubi di pietra e una serie ininterrotta di colori, pennelli, diluenti, stracci imbrattati di colore e mille altre diavolerie di cui si serviva. In questo “rifugio” trascorreva la gran parte delle ore libere. Indossato il camice da lavoro dava sfogo ai sui sogni: dipinti, sculture in trachite rossa e bianca, disegni. Una di quelle sculture in trachite rossa fa ancora bella mostra di se nel piazzale di quella Casa di cura. Era quell’improvvisato laboratorio la sua “fucina personale” dove cercava di materializzare i suoi sogni. Io lo accompagnavo spesso in questo studio improvvisato e mi piaceva osservarlo senza parlare. Era lui che mentre lavorava di scalpello o di pennello accompagnava il suo operare con la descrizione della sua idea, del suo sogno, sia che cercasse di trasformarla in un dipinto o in una scultura.


Pinuccio era infastidito dal caotico mondo reale che lo circondava; egli viveva costantemente immerso in un mondo tutto suo: era un mondo astratto, diverso da quello della grigia quotidianità, più ampio, più luminoso, fatto di cieli azzurri, di nuvole, di aerei, di mongolfiere, che si librano, si dondolano nello spazio, in un’atmosfera surreale. Aveva trovato un sistema anche per continuare il contatto con il ‘suo’ cielo nelle ore normali. L’auto con la quale si muoveva tra Cagliari, Villacidro e Oristano non era la solita cinquecento (io ne avevo una blu) ma un’Alfa Romeo ‘Giulietta’, decapottabile, dalla quale, in qualsiasi momento, poteva osservare il suo cielo e le sue nuvole! L’insofferenza verso la piatta normalità di ‘uomo qualunque’ non durò a lungo inespressa ed esplose. L’abbandono era vicino.

Un bel giorno decise di spiccare il volo. Forse fu una decisione improvvisa o, chissà, a lungo meditata. Improvvisamente rassegnò le dimissioni dall’incarico, incassò i denari e, abbandonando tutto, lavoro, stipendio ed amici partì per Parigi. In tanti restammo increduli ma lui partì senza rimpianti per raggiungere il suo sogno.

Si stabilì a Parigi dove, per anni, certamente sbarcando faticosamente il lunario, si formò e si completò come artista, entrando in relazione con le avanguardie artistiche multietniche e multirazziali che vi soggiornavano. Tre anni dopo, ossessionato dalla caotica capitale francese (confessava di essere “ incapace di ignorare l’insopportabile, interminabile e rumoroso fiume di macchine lungo il boulevard St. Germain…”), abbandonò la città per trasferirsi a Milano, città che aveva conosciuto più consona e razionale. Ecco come riferisce l’arrivo a Mauro Manunza parlando di Milano:

“… Era la città giusta. Io sono dinamico, preciso, puntuale, grande lavoratore. Cosi sono i milanesi, i lombardi. Io sono un “lombardo”. Ho gratitudine per i milanesi, con loro non mi sono mai sentito a disagio. Certo, il mio modo di pormi non è invadente: penso che non sia giusto andare a piazzare l’ovile in Piazza Duomo, ma che invece occorra scambiarsi esperienze culturali, cosi che ciascuno si arricchisca arricchendo l’altro. Cosi dovrebbe essere con le etnie che si stanno riversando nel nostro paese: ognuno porta la sua cultura e assorbe la nostra. Rispettando le regole…”.

A Milano, artista ormai maturo ed affermato, si inserì senza grandi problemi. La sua ricerca artistica personale lo aveva portato a cimentarsi oltre che nella pittura nella scultura: pietra, legno e bronzo. Le mostre, a partire dal 1971 si susseguono senza interruzione: Milano, Genova, Firenze, Napoli, Sanremo Verona, Roma in Italia; all’estero: Cannes, Chamonix, Los Angeles, Zurigo, Parigi.

Alla sua natia Villacidro, dalla quale mai si è sentimentalmente staccato, dedica una delle sue più interessanti opere: due forme stilizzate in bronzo a forma di cuore con davanti un libro in pietra bianca, collocata all’interno del Parco Marchionni.

Ho incontrato Pinuccio ad Oristano una decina d’anni fa. Era in Sardegna per delle mostre, una delle quali organizzata in occasione della Sartiglia. Non ci fu molto tempo per i convenevoli, per le chiacchere ed i ricordi: io ero ancora impegnato con il mio lavoro bancario e ci salutammo frettolosamente. In quell’occasione ebbi in dono una delle sue opere ed il catalogo di Riccardo Barletta che prima ho citato.

Attualmente Pinuccio, ormai artista di fama internazionale, vive e lavora nel Lodigiano ma non ha mai dimenticato l’Isola. Ora si dedica prevalentemente, oltre alla pittura, alla scultura in marmo, bronzo e legno ed alla ceramica.

Ho di Lui un ricordo straordinario: oggi che di anni ne sono passati non pochi, sono felice di aver conosciuto un ragazzo con una forza straordinaria: un sardo intelligente e testardo, capace di cavalcare i sogni senza abbandonarli mai!

Grazie Pinuccio, è la gente come Te che fa grande la nostra splendida Sardegna!

Un grande abbraccio affettuoso.

Mario

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