martedì, febbraio 14, 2012

LA FAVA: UN LEGUME ANTICO, CHE NELLA SCUOLA PITAGORICA COSTITUIVA “IL LEGAME PRIVILEGIATO” TRA IL MONDO DEI VIVI E L’ALDILA’.

Oristano 12 Febbraio 2012

Cari amici,

Vi sembrerà strano ma l’argomento botanico che oggi voglio trattare è uno di quelli “particolari”, almeno per me, che riguarda un prodotto a me severamente proibito. Sto parlando della “FAVA”, vegetale che, fin dai tempi più antichi era diffuso in Egitto, tra i Greci e successivamente tra i Romani. La fava si dice sia originaria dell’Africa settentrionale e in Cina, già 5.000 anni fa, era coltivata a scopo alimentare. Si sono trovate delle fave nei resti di villaggi neolitici, come in tombe egiziane risalenti al 2400 a.C.

Parlare di fave per me è come “parlare di corda in casa dell’impiccato”, in quanto sono fabico, anche se questa “malattia” l’ho scoperta a circa 18 anni. Prima, pensate, ne ho mangiate tante di fave e posso assicurarvi che le trovavo buonissime!

Il favismo, per quelli che non lo conoscono, è una malattia genetica ereditaria, causata dalla carenza di un enzima, il glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD), presente nei globuli rossi e fondamentale per la loro sopravvivenza. La sua mancanza, infatti, provoca un’emolisi acuta, ovvero la morte dei globuli rossi, che si scatena in seguito all’assunzione o all’inalazione di vapori di fave, piselli, Verbena Hybrida, altri particolari vegetali, sostanze, come naftalina e trinitrotoluene o alcuni farmaci antipiretici, analgesici, antimalarici, sulfamidici, salicilici, cloramfenicolo, alcuni chemioterapici, chinidina, menadione, blu di metilene ecc. e in generale tutti i FANS; queste sostanze inibiscono l’attività dell’enzima.

Leggendo Venerdì scorso su L’Unione Sarda gli articoli di Caterina Pinna e di Alessandra Guigoni, mi sono incuriosito soprattutto in relazione al “timore” che gli uomini hanno sempre manifestato nei suoi confronti. Ho voluto, perciò, approfondire la conoscenza che avevo di questo vegetale, che in passato è sempre stato associato a molte superstizioni e collegato, soprattutto, al mondo dei defunti. Le ragioni di questo accostamento non sono poche e la fava, pur dotata di interessanti proprietà alimentari, per le sue caratteristiche botaniche e la difficile digeribilità ha alimentato numerosi simbolismi e timori.

In un’epigrafe del VI secolo avanti Cristo, trovata in un santuario di Rodi, si consigliava ai fedeli, per mantenersi in uno stato di purezza totale, di astenersi “dagli afrodisiaci, dalle fave e dai cuori [degli animali]”. I pitagorici provavano nei confronti delle fave un vero e proprio orrore. Pitagora le proibiva ai discepoli, perché le macchie nere dei fiori di fava erano considerate simboli della presenza delle anime dei morti; gli antichi Egizi evitavano di toccarle; in un rito di antico costume latino, si offrivano le fave agli inferi e si credeva che nei semi delle fave si ritrovassero le lacrime dei trapassati. Per la festa della dea Flora, i semi di fave venivano lanciati sulla folla in segno di buon augurio; con gesti scaramantici la gente si gettava dietro le spalle il legume per proteggersi dai malefici.

I motivi, come detto, erano molteplici e partivano proprio dalle sue caratteristiche botaniche. La fava infatti è l’unica pianta che ha uno stelo privo di nodi e questa sua particolarità faceva pensare che fosse il mezzo più adatto per permettere ai morti di comunicare con il mondo dei vivi. Era come un canale privilegiato attraverso il quale i morti potevano comunicare ma, per alcuni, potevano anche impossessarsi delle anime dei vivi. Questa credenza era avvalorata dal fatto che le fave, usate per l’alimentazione, sono pesanti da digerire e possono provocare ottundimento fisico e psichico. Secondo Platone, ai pitagorici era proibito consumarle perché provocavano un forte gonfiore, nocivo alla tranquillità spirituale di chi cerca la verità. E anche Plinio ne era convinto e diceva: “.. si ritiene che [la fava] intorpidisca i sensi e provochi visioni”. Inoltre, considerato che il consumo delle fave poteva causare una manifestazione anafilattica, una sindrome emolitica acuta, il cosiddetto favismo, molto frequente nelle regioni meridionali dell’Italia e in Sardegna, grande era il sospetto circa la sua “impurità” e pericolosità.

Con questi attributi, le fave non potevano non evocare un simbolismo negativo collegato al mondo degli inferi, e ciò spiega anche la loro presenza nei riti funebri di parecchie tradizioni, in Grecia come in Egitto o in India o in Perù. Il simbolismo attribuito non era però solo in chiave negativa.

Accanto all’accostamento ai riti funebri le fave compaiono anche nella celebrazione di riti festosi e propiziatori. A Roma, il 21 di Febbraio, si concludevano i Parentalia, le feste di Febbraio in onore dei parenti e per l’occasione si usavano le fave in un rito particolare in onore della dea Tacita Muta. Questa dea veniva evocata nel periodo calendariale che, alla fine di Febbraio, segnava il trapasso dal vecchio al nuovo anno. Ma la dea presiedeva anche ai culti funebri come dea degli inferi. Ne risulta, quindi un collegamento, tra la festa dei Parentalia ed il mondo dei morti, visto però nel senso positivo, quello di evocare il passato per costruire su di esso il presente.

Ricordo dei morti, dunque. non fine a se stesso ma come sostegno e indicazione per ciò che vive. È, in pratica, l’anno passato che fornisce all’anno appena nato modalità e forme già acquisite per viverlo al meglio. Ecco, le fave, come strumento di comunicazione con il mondo degli inferi, avevano proprio questa funzione simbolica.

Esaminati gli aspetti simbolici e le superstizioni ad essa legate, vediamo ora di scoprire qualcosa di più di questo legume cosi controverso.

Le fave con le lenticchie sono il più antico alimento leguminoso che si conosca in Europa.

La fava (Vicia faba, L. 1753) è una pianta appartenente alla famiglia delle leguminose. Il suo apparato radicale è fittonante, con numerose ramificazioni laterali nei primi 20 cm, che ospitano specifici batteri azotofissatori (Rhizobium leguminosarum). Il fusto è a sezione quadrangolare, cavo, ramificato alla base, alto da 70 a 140 cm. Le foglie sono stipolate, glauche, pennato composte, costituite da 2-6 foglioline ellittiche. I fiori, raccolti in brevi racemi, si sviluppano all'ascella delle foglie a partire dal 7º nodo. Ogni racemo porta 1-6 fiori pentameri, con vessillo ondulato, di colore bianco striato di nero e ali bianche o violacee con macchia nera. La fecondazione è autogama. Il frutto è un baccello allungato, cilindrico o appiattito, terminante a punta, eretto o pendulo, glabro o pubescente che contiene da 2 a 10 semi. Il baccello, normalmente lungo circa 15-25 cm, è rivestito all’interno da uno strato spugnoso dove si trovano i semi grossi e piatti, avvolti da un tegumento (pelle), che a seconda della numerose varietà, può essere di colore verde, rossastro o violaceo. I semi, di colore inizialmente verde, con la maturazione assumono un colore più scuro, dal nocciola al bruno.

Tra le tante curiosità nate su questo particolarissimo vegetale, eccone alcune. Circa la celeberrima idiosincrasia di Pitagora e della sua Scuola, per le fave, si è scritto che non solo essi si guardavano bene dal mangiarne, ma evitavano accuratamente ogni tipo di contatto con questa pianta. La leggenda dice che, Pitagora stesso, in fuga dagli scherani di Cilone (di Crotone), preferì farsi raggiungere ed uccidere piuttosto che mettersi in salvo attraverso un campo di fave! I romani erano grandi consumatori di fave, tanto che venivano consumate anche crude assieme al baccello, quando erano particolarmente tenere; una delle nobili famiglie (gentes) fra le più importanti della storia di Roma, cioè i Fabi, si dice che prese il proprio nome proprio dalla fava. Tra gli altri aneddoti troviamo che, secondo un'antica tradizione agraria, nell'orto sarebbe bene seminare alcune fave all'interno delle altre colture poiché questo legume, oltre ad arricchire il terreno di azoto, attirerebbe su di se tutti i parassiti, che di conseguenza non infesterebbero gli altri ortaggi. Stando, infine, ad una credenza popolare diffusa in Italia, se si trova un baccello contenente sette semi si avrà un periodo di grande fortuna. Il successo di questo vegetale, però, si esaurì, trovò il suo declino, verso il Cinquecento, con l’arrivo del più versatile fagiolo, venuto dall’America.

Le Fave, appartenenti alla categoria dei legumi, sono tra quelli che hanno meno calorie. Esse contengono molte sostanze benefiche per l'organismo. Tra le più importanti le fave contengono molti sali minerali (fosforo, potassio, magnesio, selenio, rame, calcio, ferro e zinco), molte vitamine (A e C), proteine e fibre. Questi legumi hanno la capacità di regolare il corretto funzionamento dell'intestino, e di controllare il livello di colesterolo e glucosio nel sangue. Le fave fresche contengono una sostanza che aumenta la concentrazione di dopamina nel cervello, chiamata L-dopa. In passato, per il loro alto contenuto di proteine e nutrienti venivano chiamate “la carne dei poveri”.

Le fave, dunque, alimento prezioso, coltivato per le qualità proteiche della saporita granella che, secca o fresca, trova impiego come alimento sia per l’uomo che per gli animali. La pianta è coltivata anche per foraggio (erbaio) e per sovescio. Nell’antichità storica, per tutto il Medio-Evo e fino al secolo scorso, le fave secche cotte in svariati modi hanno costituito la principale base proteica alimentare di molte popolazioni specialmente di quelle meridionali d’Italia. Nei tempi recenti il consumo dei semi secchi si è ridotto, mentre ampia diffusione ha ancora nell’alimentazione umana l’uso della granella immatura fresca o conservata inscatolata o surgelata.

Tante le ricette che accompagnano il consumo delle fave. La fava si può consumare sia cotta che cruda. Cruda, si accompagna generalmente con del formaggio pecorino, pancetta o salame; cotta è usata invece per la preparazione di zuppe e minestre. In Spagna un piatto tipico cucinato con le fave è la fabada, ( fave con salsiccia, in umido), in cui le fave sostituiscono i fagioli, nella preparazione.

In Sardegna la fava è utilizzata ancora con grande successo. Uno dei piatti tipici, recentemente ridiventato prezioso e ricercato, è la “favata”, piatto legato indissolubilmente al carnevale sardo. E’ una ricetta molto diffusa, orgoglio e vanto soprattutto nel nord dell’Isola, e costituisce un sostanzioso piatto unico, accompagnato da vino Cannonau. Anche in Sardegna questo cibo è strettamente legato al culto dei morti e all’aldilà, tutti temi, questi, esorcizzati proprio nelle manifestazioni carnevalesche.

Per gli amanti di questo piatto “particolare”, ecco la ricetta:

La favata, Ingredienti:

1 spicchio di aglio, 50 grammi di lardo, 1 chilo di fave secche, 100 grammi di salsiccia stagionata, 100 grammi di cotenna, 200 grammi di piedini di maiale passati alla fiamma, 100 grammi di pancetta, 1 verza, 1 carota, 300 grammi di costine di maiale, Sale, Finocchietto selvatico, 2 pomodori secchi.

Preparazione. La sera prima mettiamo le fave a mollo in acqua; il giorno dopo rosoliamo gli aromi e la cipolla nel lardo. Uniamo le fave scolate, la carne tagliata grossolanamente e tanta acqua in modo che il tutto sia ben coperto. Dopo circa un’ora uniamo la verza tagliata a strisce, il pomodoro secco e il finocchietto. Mescoliamo, saliamo e cuciniamo per circa 2 ore. Mettiamo nei piatti fette di pane tipo spianata sarda e versiamo sopra la favata bollente.

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Cari amici, se avessi potuto mangiarla, anche io non avrei disdegnato! Purtroppo ognuno di noi è una macchina unica, sicuramente mai perfetta, che dobbiamo” guidare” nel percorso della vita usandola nel modo migliore, e, soprattutto, mantenendola in efficienza “il più a lungo possibile”.

Un’ultima considerazione prima di chiudere questa mia ennesima riflessione. L’uomo ha sempre avuto una grande ansia per quello che saremo, che diverremo, dopo aver abbandonato questa vita terrena. Appellandosi, in passato, alla moltitudine degli Dei pagani (dal Sole alla Luna, dalle Stelle fino agli Dei degli Inferi) che avrebbero governato la nostra vita nell'Aldilà, fino ad arrivare ai nostri giorni, dove il "bisogno di Dio" è sempre presente, in modo più o meno esplicito.

E’ proprio l’incertezza del “dopo”, il sacro timore della dipartita, del transito da questa terra verso un altro mondo sconosciuto, che ha creato tabù di ogni tipo, nati proprio per esorcizzare la paura della morte.

Anche i tabù che si sono sviluppati sulle fave, piante con caratteristiche “particolari”, rientrano all’interno di queste paure. I tabù predicati dai pitagorici, figli di una mentalità superstiziosa, magica, religiosa ed etica, erano frutto della paura, del terrore dell'uomo per il soprannaturale, ossessionato dal timore che nel mondo della natura vivessero potenze demoniache. Le fave erano da Loro considerate piante magiche e infernali, dotate di una potenza misteriosa e cosmica, sede di esseri soprannaturali in grado di influenzare negativamente o positivamente la vita degli uomini, degli animali e delle piante. La risultante era che le fave divenivano un tabù, perché considerate "pianta degli dei degli inferi" e cibo dei morti. Infrangere il divieto significava mettere in moto contro di sé forze misteriose, capaci di scatenare severe punizioni verso i trasgressori. Altra ipotesi circa il tabù, la proibizione delle fave, derivava dalla convinzione sull'esistenza di un certo legame religioso di matrice orfica. Pitagora, credeva che l'anima, sepolta nel corpo per i suoi peccati e immersa nella materia come in una prigione, poteva progressivamente ricongiungersi alla sua origine sacra. Dunque, attraverso un graduale processo di perfezionamento del corpo e dello spirito, poteva passare ad un livello superiore di esistenza e di conoscenza sino a somigliare agli dei. La privazione alimentare, compresa quella di non mangiar fave, era uno dei comandamenti che i pitagorici dovevano rispettare per raggiungere il livello di perfezione e la vicinanza tra la condizione umana e divina.

La ricerca di Dio, Entità Superiore, esisteva, esiste e credo continuerà sempre ad esistere. Forse in futuro cercheremo altri modi per esorcizzare la morte, che, però, sempre costituirà la più grande delle nostre paure.

Avere fede in Dio è certamente la strada migliore che l’uomo possa intraprendere per esorcizzare la morte, anche se non gli toglierà mai la paura. Paura che anche Gesù, figlio di Dio fatto uomo, ebbe sulla croce. Paura inestinguibile, che per noi umani solo la speranza, unita alla fede, può mitigare. Fede e speranza: un binomio inscindibile. Possedere sia l’una che l’altra è una grande conquista: potremo ironicamente sostenere che acquisirle “è come prendere due piccioni con una fava!”.

Grazie della Vostra gradita ( e spero…ironica) attenzione.

Mario

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