giovedì, agosto 30, 2012

L’AMORE NON VA MAI IN PENSIONE! AMARE A TUTTE LE ETA’ E’ IL SEGRETO DELLA LONGEVITA’. ARISTOFONTE LO AVEVA SCOPERTO FIN DAL 350 A.C.


Oristano 29 Agosto 2012
Cari amici,

Paolo Conti, Lunedi 20 Agosto sul «Corriere della Sera», ha affrontato un tema con il quale tutti gli uomini, prima o poi, rischiano di confrontarsi: l'innamoramento in tarda età. Il dubbio atroce è: l’amore “over 60” è un impulso da reprimere o a cui dare libero sfogo? La tesi del commentatore del quotidiano di via Solferino è netta: «Ho 58 anni e ormai sono troppo vecchio per l'amore». E poi: «Non voglio diventare la parodia di me stesso. Lascio agli altri le trappole della passione». Suggestiva la citazione di De Andrè: «Lascio il batticuore che strappa i capelli a quelli che i capelli li hanno (e non tinti)». Infine il passaggio più aspro: «Certi miei coetanei neopensionati si trasformano in ridicole parodie di se stessi di trent'anni prima». Generalizzare è sempre sbagliato e farlo in un ambito così delicato come quello dell'amore è ancora più sbagliato. Ma c'è chi è convinto che invece ogni amore, ogni innamoramento, sia una storia a se stante. Con le sue emozioni, cadute, risalite. E questo vale in qualsiasi età. Perché a qualsiasi età si rimane uomini (e donne) capaci di esprimere sentimenti. Con il piacere di farlo.
Oggi anche in Italia è scoppiata quella moda meglio nota come “Fenomeno Aristofonte”, che sta ad indicare il desiderio di molte giovani (dai 18 ai 29 anni) che, complice lo sconfinato mondi di Internet, vogliono entrare in relazione con uomini molto più grandi di loro. Attraverso un sito apposito (www.aristofonte.com) oltre 100mila ragazze giovani cercano partner molto più maturi. Perché questo fenomeno dell’amore trasversale tra fasce di età molto lontane tra loro è stato chiamato di Aristofonte?. Ecco perché.

L’ateniese Aristofonte, attivo in politica già intorno al 403 a.C., era famoso non solo per essersi battuto nel 346 a.C. affinché Atene non rinunciasse alle pretese su Anfipoli nella Pace di Filocrate ma anche perché amava frequentare giovanissime fanciulle. Ricordato da Plinio come uno degli uomini migliori del suo tempo (se ce lo dice Plinio c’è certamente da fidarsi), Aristofonte, abbandonando l’uso corrente dell’epoca, si sottrasse alla "bisessualità” come norma dell'universo greco (come ci racconta il bellissimo libro "La sessualità nella storia" di L. Stone, Laterza, 1995), dedicando le sue frequentazioni ad avvenenti e giovanissime fanciulle che contavano molto meno della metà dei suoi anni. Questo “modo nuovo” di concepire le relazioni tra generazioni, inizialmente messo in atto da Aristofonte, nel tempo si diffuse ampiamente nel mondo, affermandosi poi a livello planetario attraversando epoche e Paesi diversi.
Ovviamente il fenomeno può essere esaminato anche dall’altro lato: non solo uomini maturi desiderosi di instaurare relazioni con donne molto più giovani ma anche donne mature con uomini molto più giovani. Se cerchiamo riscontri sul web (www.cougaritalia.com) troviamo deliziosi studenti ventisettenni che bramano un'uscita romantica con la signora di turno, come possiamo anche giornalmente verificare sfogliando i settimanali di gossip, dove prosperose cinquantenni giocano a fare da “mamme” a “toy boys” con meno della metà dei loro anni.

La mia riflessione di oggi, cari amici, non vuole addentrarsi nell’irto sentiero delle “relazioni pericolose” ma esaminare, con molta pacatezza, se quel sentimento nobile e bello quale è l’amore vero, l’amore non malato ma pulito, serio e solido, possa esistere in tutte le età della vita: dall’adolescenza sino alla terza e quarta età. Io penso di si e lo sostengo con convinzione.
Lo stesso Dante, al verso 103 del Canto V dell'Inferno affermava:

...Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».

Amore, quindi che “non perdona nessuno”, in nessuna situazione, a prescindere da vincoli ed obblighi assunti in precedenza! Le riflessioni di Paolo Conti sul «Corriere della Sera» hanno innescato un dibattito che si è allargato su giornali e settimanali, oltre che sulla “rete”. Cosa trarre dalla miriade di commenti tra sostenitori della sua tesi e contrari? Innanzitutto che l’amore non è come un “interruttore della luce”, che si può accendere e spegnere a piacimento! Il meccanismo che sta alla base dell’innamoramento sfugge, spesso, ad ogni logica e ad ogni programmazione. Questa logica non è valida solo per gli adolescenti ma continua ad avere “mano libera” ad ogni età, senza preclusioni di sesso, condizione sociale, orientamento religioso e quant’altro. L’importante differenza tra il periodo adolescenziale e quello della maturità è certamente costituita dalla maggiore esperienza e senso di responsabilità che consente di evitare certi atteggiamenti e prese di posizione, impossibili nella fase giovanile. Quello che è certo è che non esiste un’età dell’amore, e si può con convinzione sostenere che “L’amore non può e non deve andare in pensione”! Chi sostiene il contrario, è ancorato ad un periodo storico del passato, quando le fasi della vita erano strettamente legate al “ciclo delle stagioni”, e la civiltà contadina aveva le sue regole difficili da evadere.

L'amore, allora, iniziava prima dei 20anni. Si socializzava nella prima adolescenza, si metteva su famiglia da giovani e, a 60 anni, gli esseri umani avevano accumulato, oltre che un buon numero di figli, almeno 40 anni di “contributi affettivi”, sotto l’ampio tetto della “famiglia allargata” formata da marito, figli, ascendenti e ulteriori componenti il “clan” familiare: nipoti, generi, nuore e quant’altro. “Capitale affettivo”, quindi, di grande spessore, senza dimenticare i legami creati dall’indotto: quelli fra i parenti di entrambi i coniugi, oltre ad una grande rete di amici e vicini costruita fin dall’infanzia e che costituivano una rete di salvataggio in caso di vedovanza o solitudine. Grazie a questo assetto, dopo una certa età si poteva uscire tranquillamente dalla caccia all'amore ed a nuovi rapporti e a godere in vecchiaia di una “rendita emotiva-sentimentale”, magari non esaltante, ma sicura e riposante; un’assicurazione contro l'isolamento, fatta di tenerezza, rispetto, memorie condivise, affetti familiari considerazione da parte dei parenti più giovani. Era questo sistema capace di “trasformare” l’amore tra marito e moglie in un’altra variante dell’amore: quella meglio definita come “affetto coniugale”, fatta di dedizione, rispetto, aiuto e sostegno disinteressato.
E’ stato il repentino cambio di abitudini avvenuto nella prima modernità a creare quelle incredibili trasformazioni sociali che, in poco tempo hanno iniziato a distruggere le mura e le fondamenta del bel castello della famiglia patriarcale. Trasformazioni sociali che hanno scatenato prima una “rivoluzione sessuale” che ha liberato la donna da vincoli oppressivi e dato vita prima al divorzio e poi a tutte le sacrosante trasformazioni economiche e sociali che, successivamente nella seconda modernità hanno ulteriormente accentuato il taglio netto con il passato. Modernità che, però, come rovescio della medaglia, ha portato con se mali prima assenti come l’individualismo, la solitudine ed il “consumismo”.

Modernità che, oltre a creare un mondo sempre di corsa, sempre in ansia, ha dilatato a dismisura i bisogni di tutte le età, rimescolandole e miscelandole, creando intrecci e relazioni tra le varie fasi, prima non permeabili. Questo caos generazionale, questo “melting pot”, complice il fattore “solitudine” (una delle aride conseguenze della modernità), ha potuto cosi costruire nuove relazioni, anche trasversali tra le diverse età, accentuando e confermando la tesi che oggi l’amore non è capace di andare mai in pensione, non può permetterselo. La relazione amorosa che oggi nasce già sui banchi delle medie, dura all’infinito ben oltre l’età della pensione. Potremo sostenere, usando una famosa affermazione nata nei Paesi Nordici ai tempi del primo Stato Sociale, che l’amore per l’uomo dura “ Dalla culla alla tomba”. Viene da sorridere constatando che la 12enne si avvilisce perché non ha ancora trovato un moroso, il 65enne si tormenta perché non trova più una nuova compagna: fra le due età un divario di oltre 50 anni, in cui non si fa altro che pensare all’amore! Credo che, come sostenuto prima, la solitudine giochi in tutto questo un ruolo importante. Il bisogno di amore-affetto è insito nell’uomo e, credo, mai si affievolirà. L’amore non è qualcosa da vivere in “un periodo quantificato, determinato, ma qualcosa di perpetuo, scritto indelebilmente nel nostro DNA. Non c’è per l’amore un INPS, deputato a darci la “pensione”, più o meno grande in relazioni ai contributi amorosi versati! Non ci serve un Monti che ci ammonisca sostenendo che “l’amore, come il lavoro, è noioso e cambiare spesso lavoro è stimolante”, o la morale contemporanea secondo cui il partner fisso “logora”, mentre la ricerca di compagni sempre più stimolanti, e possibilmente più giovani, da la felicità. Se le proteste, che si sono levate contro la riforma Fornero, sono state immediate e furenti, quelle contro lo smantellamento della “previdenza sentimentale” (consolidate nella Civiltà Contadina) cominciano a levarsi solo ora, e sono poche e isolate. Come quella apparsa sul Corriere della Sera, con l’autorevole firma di Paolo Conti.

Conti sembra quasi sostenere con forza “la ritirata dell’uomo dall’innamoramento”. Il giornalista rivendica il diritto di ritirarsi dalla corsa all’innamoramento a 58 anni: separato, con due figlie molto amate, e con molti amori alle spalle, sente di avere già dato. Sostiene, inoltre che oggi, anche se la durata della vita si è allungata, «non vuol dire che a 50-60 anni si possano o si debbano svolgere le stesse attività di quando se ne aveva 20», e magari anche con partner ben più giovani! Il dibattito innescato da Conti, pur nel caldo e nell’afa d’Agosto, ha conquistato le chiacchiere dei vacanzieri, rimbalzando di ombrellone in ombrellone e suscitando, com’era prevedibile, un vespaio di reazioni. Nei commenti abbondano osservazioni tipo «sì ma quando succede è stupendo», «conosco una coppia lui 60enne-lei 30enne, carinissimi», e cosi via. Il dibattito non si estinguerà con il ritorno a casa ed al lavoro dopo le vacanze. La realtà è che “invecchiando” di può ancora dare molto, si può ancora imparare! Nell’età matura si possono fare ancora una miriade di cose! Amare molte di quelle cose che da giovani, per mille ragioni, ci sono sfuggite. Si può studiare, per esempio, ciò che non si è mai studiato. Imparare una lingua nuova. Viaggiare per il mondo. Continuare a migliorarsi sotto ogni profilo, anche sul lavoro, visto che per molti, dopo la riforma Fornero, la pensione, se ci sarà, è ancora lontana.

«Invecchio imparando ogni giorno qualcosa», diceva l’anziano Cicerone, peraltro fresco reduce dal fallimento del secondo matrimonio con una ricca ereditiera molto più giovane di sua figlia Tullia: il re degli oratori, a differenza dei 60enni moderni, credeva nell’efficienza dell’uomo e nella sua innata curiosità e sete di conoscenza. Secondo la mia modesta opinione credo che a 58 anni ci si possa ancora innamorare, perché no. Senza angosce e senza rincorrere la luna: perché i sentimenti non sono addomesticabili. La vita dopo i 60 anni va vissuta con grande senso di responsabilità, con ironia e umorismo, e, soprattutto mantenendo una grande curiosità.

Io ho avuto la fortuna di andare in pensione a 57 anni, praticamente l’età presa a riferimento da Paolo Conti. A differenza di Paolo sono felicemente sposato con un figlio. Non ho, però, voluto “chiudere la valvola dei sentimenti e della conoscenza”, passando la giornata in pantofole. Mi sono rifiutato di pensare: “basta, ho già dato”. Ho voluto, mantenendo sia tutta la mia curiosità che la mia innata ironia inframmezzata da umorismo, iscrivermi nuovamente all’università. Non ho ricalcato le conoscenze acquisite negli anni del lavoro (economia, diritto, finanza, contabilità) ma fatto un salto triplo: mi sono iscritto all’Università di Sassari, facoltà di Scienze politiche, in Scienze della Comunicazione. Terminata la laurea triennale ho continuato per conseguire la laurea specialistica in “Editoria, Comunicazione Multimediale e Giornalismo”, concludendo con il massimo dei voti e la lode. Non pago dell’acquisizione delle nuove conoscenze, che anzi mi hanno stimolato a continuare, ha voluto ulteriormente approfondire il discorso iniziato, acquisendo altre tessere al mio mosaico. Ho cosi acquisito anche la laurea magistrale in “Politiche Pubbliche e Governance”, conseguita, come l’altra, con il massimo dei voti e la lode.
Che dire? Sono felice di queste nuove esperienze. Ho, negli 8 anni trascorsi a Sassari, fatto amicizie che mi hanno dato molto. Non parlo solo di quelle con i validi docenti con cui ho tutt’oggi un buon dialogo amichevole, ma di quelle fatte con un bel gruppo di compagni di corso dell’età di mio figlio. La diffidenza iniziale è in poco tempo caduta e l’amicizia è prima nata e poi cresciuta di giorno in giorno. Con Loro c’è, nonostante la bella differenza di età, un buon rapporto di amicizia e stima, molto coinvolgente e sincero. Credo che per l’amicizia, come per l’amore di cui è una nobile variante, l’età abbia poco valore!
L’amore, in tutte le sue forme, è (o dovrebbe essere) il vero motore del mondo!
Grazie della Vostra sempre splendida attenzione!
Mario

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