domenica, gennaio 12, 2014

ANTICHE ARTI E MESTIERI: I CALZOLAI. NEL MEDIOEVO IL LORO “GREMIO” ERA FRA I PIU’ IMPORTANTI. L’ANTICA PROFESSIONE ARTIGIANA CERCA OGGI UNA NUOVA VITA.



Oristano 12 Gennaio 2014
Cari amici,
chi a un’età vicina alla mia (sono un figlio della guerra, nato nel 1945) ricorda certamente, negli anni sessanta, a metà del nostro Corso Umberto, la “Via Dritta” un po’ per tutti, un bravo calzolaio che, nell’androne dell’austero palazzo Arcais, che oggi ospita gli uffici di rappresentanza della Provincia, svolgeva la sua povera ma dignitosa professione, riparando le scarpe di oristanesi e di villici in trasferta. Certo allora Oristano era molto diversa da oggi e nel Corso Umberto trovavano sede non poche attività artigianali, dal sarto all’orologiaio, dal barbiere al tabaccaio, dal negozio di mercerie della famiglia Garau (quella del commediografo Antonio Garau) a quello di stoffe e broccati per costumi sardi della famiglia Di Palma. Non mancavano ne i bar, ne le gioiellerie. La “Via Dritta” di oggi ha mantenuto pochi ricordi di quella Oristano, perché lentamente ma inesorabilmente molte delle professioni artigiane di una volta, oggi sono praticamente scomparse. Una di queste professioni artigiane andate in disuso è certamente quella di calzolaio.
L’attività di calzolaio, detto anche ciabattino, è uno dei mestieri più antichi al mondo. In passato le botteghe dei ciabattini, come una volta erano preferibilmente chiamati,  erano considerate praticamente indispensabili: costruire delle scarpe era molto dispendioso a causa degli elevati costi delle materie prime, per cui era necessario ripararle più volte, cambiando le parti usurate e usando le scarpe praticamente fino ad esaurimento. L’uomo ha sempre avuto bisogno di coprire i suoi piedi, naturalmente morbidi e non coperti di spessi strati cornei, come invece la natura aveva dotato altri esseri viventi. Le prime calzature, quindi,  risalgono all’epoca preistorica quando gli uomini iniziarono a proteggere i propri piedi avvolgendoli nella pelle di animali. 
I greci e i romani, come testimoniano i numerosi affreschi, proteggevano i piedi con funzionali sandali, costruiti lavorando in modo eccellente il cuoio; anche nel mondo ellenico i calzari erano in cuoio e le donne vestivano addirittura sandali decorati e con l’applicazione di rudimentali tacchi. Presso gli antichi romani la calzatura, nel tempo, divenne sempre più sofisticata, fino a diventare uno status symbol: il calceus era una scarpa chiusa vietata agli schiavi, mentre la caliga veniva indossata soltanto dai militari. 
Nel Medioevo si diffusero sia calzature in legno che in cuoio, queste ultime, però, a causa degli alti costi della materia prima, erano notevolmente meno diffuse delle prime. Nel corso del ‘400 vennero prodotte in Europa delle calzature in stoffa, a punta, per arrivare poi al diciassettesimo secolo, quando furono create le prime scarpe con il tacco alto e i primi stivali.
Man mano che coprire i piedi con le scarpe da semplice necessità diventava anche un modo di “esibire” grandezza e potenza economica, la fabbricazione delle calzature più importanti veniva riservata, da parte delle famiglie più abbienti, agli artigiani più bravi, che prestavano la loro opera artigianale in piccole botteghe, dove i più esperti si avvalevano della collaborazione di giovani aiutanti per la preparazione delle materie prime. Le botteghe, che servivano tutte le fasce della popolazione, oltre che fabbricarne di nuove (lavoro riservato ai maestri più esperti) svolgevano anche il lavoro della riparazione delle parti consumate o usurate della calzatura, perché l’alto costo del nuovo non consentiva “cambi” troppo rapidi, è l’uso dei calzari era prolungato nel tempo.
L’attività corrente del ciabattino, che svolgeva il suo lavoro indossando un ampio grembiule di pelle che arrivava un po’ sotto le ginocchia e fissato sul davanti con delle stringhe di cuoio al collo e dietro la schiena, consisteva soprattutto nel rimuovere tacchi o suole usurate, ricucire ed incollare suole e bordi esterni, riparare i tagli sulla tomaia, applicando piccole “pezzette” e lucidando, poi, la scarpa a riparazione avvenuta.
Il lavoro veniva svolto seduti davanti a uno speciale banchetto di legno (deschetto), dotato di tutta una serie di attrezzi necessari alla professione: tripiede o piede di ferro (attrezzo a tre forme per suola, mezza suola e tacco), trincetti, lesine, punteruoli, raspe, forbici, spago, pece, setole di maiale, martelli chiodi a testa larga e colla; altri strumenti di lavoro erano: la lima, il lucido (grasso per gli scarponi), la vernice, la spazzola, le tenaglie e dei pezzetti di vetro  per pareggiare l'orlo delle scuole. Sui ripiani di uno o più scaffali erano alloggiate le diverse forme (di varie misure) per allargare e modellare le scarpe e la materia prima: cuoio e gomma. Un bravo calzolaio era anche in grado di eseguire semplici lavori di ortopedia creando plantari e tacchi finalizzati alla correzione della postura.
Durante il Medioevo la struttura socio economica vigente regolamentava il lavoro di tutti gli artigiani che per poter svolgere legalmente l’attività dovevano far parte delle "Confraternite di mestiere" che operavano all’ombra degli Ordini religiosi e degli Ordini equestri. Anche successivamente, durante il periodo della dominazione spagnola, il lavoro artigiano restò rigidamente regolamentato. In Sardegna e precisamente nelle Città Regie, ovvero nelle sette città non infeudate di Cagliari, Sassari, Oristano, Alghero, Iglesias, Castelsardo e Bosa, godendo queste di prerogative speciali, le organizzazioni corporative artigiane presero il nome di “Gremi”.
Queste “Corporazioni”, antenate delle successive strutture sindacali, erano dei sodalizi regolamentati da rigidi Statuti, di diretta derivazione barcellonese, e riunivano le persone che esercitavano un medesimo mestiere: vi erano i Gremi degli agricoltori, dei falegnami, dei ferrai, dei sarti, dei calzolai, dei figuli e dei carrettieri, per citare i più importanti. Ogni corporazione era posta “in grembo”, ovvero sotto la protezione di uno o più santi, da cui il nome “Gremio”, e governava rigidamente l’attività dell’intera maestranza; gli Statuti regolamentavano l’ingresso dei nuovi soci, l’apprendistato dei novizi, l’esame per il passaggio da apprendisti a maestri d’arte, legiferando inoltre in materia di qualità dei prodotti e prezzi dei manufatti. Lungimiranti, per quei tempi, le norme statutarie che prevedevano anche forme di protezione in capo agli appartenenti al Gremio: il “mutuo soccorso” fra i soci, l’assistenza ai soci indigenti, l’accompagnamento funebre dei soci defunti. Tutto era perfettamente regolamentato, anche la partecipazione alle feste solenni del calendario religioso e le principali feste dell’associazione; Nello Statuto di ogni Gremio era  previsto, per tutti i soci, il pieno rispetto delle regole,  con pene severe per le trasgressioni che andavano dalle multe fino all’espulsioni dal sodalizio. L’espulsione era un fatto gravissimo, perché nessuno poteva esercitare il mestiere senza essere iscritto al relativo Gremio professionale: solo gli appartenenti alla corporazione potevano aprire bottega ed esercitare l’arte.
Alla fine dell’Ottocento gli statuti dei Gremi risultavano troppo restrittivi per un mercato sempre più ampio ed in costante evoluzione e nel maggio del 1864 un’apposita legge abolì tutte le corporazioni. A partire da quel momento i “Gremi” si trasformarono in “società” che, abbandonate le precedenti prerogative di regolare la professione, si occuparono di “Mutuo Soccorso” tra i soci e di perpetuare l’usanza degli antichi festeggiamenti. Alcuni Gremi nel tempo sparirono altri, invece, continuarono. Storicamente in Sardegna hanno continuato ad operare, senza soluzione di continuità, alcuni Gremi  nelle città di Sassari ed Oristano. Nel capoluogo turritano e in quello arborense da oltre cinquecento anni questi “Gremi” sopravvissuti perpetuano le principali manifestazioni cittadine, tramandando a Sassari il cerimoniale della processione della discesa dei Candelieri in voto della Madonna Assunta e ad Oristano, la storica corsa equestre della Sartiglia.
Il Novecento, con la massiccia diffusione dell’industrializzazione in tutti i campi, avvia la lavorazione industriale anche nel campo delle calzature. Con l’aumento della richiesta del nuovo tipo di scarpe, la produzione si sposta dalle botteghe artigiane alle nuove fabbriche, assottigliando prima e facendo praticamente sparire poi, tutta una serie di abili artigiani, una parte dei quali andò a lavorare nelle nuove strutture industriali. Con la costante crescita dell’industria calzaturiera il mestiere di calzolaio si ridusse al lumicino, restando, ai pochi artigiani rimasti in attività, soprattutto la riparazione delle scarpe usurate ai piedi delle fasce più deboli della popolazione. Come è avvenuto per altri settore come l’auto, la politica dell’usa e getta ha mandato anticipatamente in pensione bravi meccanici e bravi calzolai.
In questi ultimi anni, però, si assiste ad un timido rifiorire di antiche professioni considerate ibernate se non addirittura scomparse. In un periodo di crisi economica come quello che si sta attraversando, il mestiere di calzolaio sembra stia silenziosamente tornando in voga, anche se in maniera aggiornata. Secondo alcune indagini condotte in questi ultimi anni da alcune importanti testate giornalistiche italiane, i giovani sembra stiano riscoprendo con piacere gli antichi mestieri di un tempo e, tra quelli più in voga, c’è proprio la professione del calzolaio. La ricerca della “scarpa personalizzata”, quella fatta su misura per le fasce più alte, ha contagiato molti personaggi dell’alta società. Ma anche le altre fasce di popolazione sembrano aver riscoperto i pregi del lavoro artigiano, iniziando a tralasciare l’anonima scarpa industriale.
Diventare un buon calzolaio significa innanzitutto avere buona volontà e un iniziale spirito di sacrificio. Dopo aver ottenuto un diploma in una qualsiasi scuola secondaria superiore si può facilmente accedere a delle scuole di formazione professionale presenti in tutto il territorio nazionale. 
La più importante è probabilmente l’Università dei calzolai a Novara che vanta una storia centenaria e che ha dato vita a generazioni di calzolai. Di pregio sono anche la scuola dei maestri calzolai e il risuolificio San Crispino di Torino (San Crispino è proprio il patrono dei calzolai), mentre i tanti altri Istituti di avviamento alla professione del calzolaio sono facilmente reperibili in rete e vari siti forniscono dettagliate spiegazioni sullo svolgimento dei corsi e sugli scopi che si ripropongono di portare a compimento.
In un periodo di crisi come quello attuale, in cui trovare un lavoro sembra essere quasi impossibile, la riscoperta e la rivalutazione degli antichi mestieri può essere un’occasione per avere nuovi sbocchi professionali e mantenere in vita la grande tradizione di una nazione come l’Italia che in questo campo vanta primati internazionali. Senza dimenticare anche la parte ecologica. L’arte magica e nobile del ciabattino, sotto le cui mani rinascono a nuova vita scarpe preziose che vengono sottratte dalla morte certa in discarica, contribuisce a ridurre l’ inquinamento, il consumo di materie prime per fabbricarne di nuove e anche a non indebolire troppo il nostro portafoglio. Basta un rinforzo alle suole o rifare il tacco per continuare a calzare un paio di scarpe per altri mesi, rimandando l’atto di buttarle nell’indifferenziato o, se va bene, nel cassonetto di abiti e scarpe usate!
Cari amici, forse la riscoperta e la ripresa del lavoro artigiano sarà possibile proprio per la caparbietà e la determinazione dei nostri giovani!
Ciao.
Mario

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