sabato, gennaio 18, 2014

CHE FINE FARA’ LA STRAORDINARIA COLLEZIONE DI STRUMENTI MUSICALI SARDI, PAZIENTEMENTE MESSA INSIEME DALL’ETNOMUSICOLOGO DON GIOVANNI DORE DI TADASUNI?



Oristano 18 Gennaio 2014
Cari amici,
ho conosciuto Don Giovanni Dore negli anni 80. Il sacerdote era parroco di Tadasuni, un piccolo centro collocato sulle rive del lago Omodeo. Don Dore era nato a Suni nel 1930; diventato prete a 25 anni ha esercitato la sua missione a Bosa, Santu Lussurgiu, Sedilo e Scano Montiferro, prima di approdare a Tadasuni. Di Parrocchia in Parrocchia, considerata la grande curiosità musicale dimostrata, non gli fu difficile mettere insieme, in gran parte ricevuti in dono, rari esemplari di organi e organetti, fisarmoniche, chitarre, tamburi, raganelle, matraccas, trunfas e pipiolos. Da allora non smise mai di aggiungere pezzi alla sua collezione senza fine, arrivando a superare i 500 esemplari. Collezione ricchissima la Sua,  che riguardava anche testimonianze in qualche caso remotissime, come i fossili della foresta pietrificata da Zuri.
L’occasione per incontrarlo e conoscerlo mi fu data dal Club Rotary di Oristano, che aveva organizzato una gita a Tadasuni con i propri soci, proprio per poter visitare la splendida raccolta. Il Rotary, tra l’altro, qualche anno prima aveva, attraverso una delle sue azioni di servizio, provveduto a donare una serie di armadi metallici adeguati, dove Don Dore aveva potuto diligentemente sistemare i tanti pezzi della sua collezione. La visita fu interessantissima sia sotto il profilo etnografico musicale che personale, per la grande simpatia dell’illustre prete-studioso, ormai diventato un etnomusicologo di fama internazionale. La mia amicizia con Lui si perfezionò col passare del tempo. Ci incontrammo successivamente in diverse occasioni, spesso proprio in raduni rotariani (il club di Macomer lo aveva da tempo cooptato come socio onorario del club), dove la sua cultura, unita alla sua arguzia ed alla sue verve di grande spessore, incantava sempre l’uditorio. La sua straordinaria collezione, ormai museo a tutti gli effetti, diventò meta turistica visitatissima: Tadasuni e gli altri minuscoli paesi rivieraschi dell’Omodeo, devono alla fama del suo museo musicale, una migliorata frequentazione turistica e una più alta notorietà. 
Per chi tra di Voi che non ha mai visitato questo “straordinario insieme” di strumenti musicali, cerco di farne in piccolo riepilogo.
I numerosi pezzi  della  straordinaria  collezione di strumenti musicali furono acquisiti “sul campo”, ovvero reperiti nei paesi più sperduti dell’Isola, dall’infaticabile prete che non collezionava asetticamente gli strumenti,  ma, in una visione di più ampio respiro, indirizzata a documentarne la storia, catalogava e studiava le sonorità emesse dagli strumenti, usati nelle danze rituali e nelle manifestazioni pubbliche e private più importanti. Sonorità e strumenti che completavano i tipici cerimoniali adottati nelle varie parti della Sardegna per dare solennità, nella gioia (nascite, matrimoni, battesimi, feste patronali) o nel dolore (riti della Settimana Santa), agli avvenimenti più importanti della Comunità.
La passione musicale di don Dore si sviluppò in Lui fin da bambino, quando iniziò ad interessarsi di musica suonando “su pipiolu”. Successivamente a scuola studiò le note, le composizioni, la storia dei giganti del passato come Bach, Beethoven e Mozart, ma anche gli usi e costumi dei pastori anziani che portavano le greggi al pascolo, che, mentre seguivano il bestiame, si cimentavano suonando gli strumenti degli avi. Scoppiata in Lui la forte passione musicale, in breve ne divenne un maestro. Per anni insegnò educazione musicale a scuola e dato alle stampe decine di saggi specialistici. Con l’andare del tempo la sua modesta iniziale collezione di strumenti diventò una “mostra permanente”, da subito aperta al pubblico, al quale era noto anche per le sue dotte pubblicazioni nel campo della musica popolare sarda, tra le quali si ricordano: Gli strumenti della musica popolare in Sardegna, I testi del dramma silenzioso del venerdì Santo ed Il rito degli strepiti. La Sardegna è sempre stata una terra musicalmente ricca, dove il ballo, il canto e i tipici suoni degli strumenti tradizionali, erano considerati componenti essenziali della vita dei suoi abitanti.
Gli oltre cinquecento pezzi raccolti all'interno della casa parrocchiale rappresentano oggi, sicuramente, uno dei più importanti presidi per la conservazione della cultura sarda, una collezione fino a ieri passaggio obbligato per tutti gli studiosi stranieri che desideravano comprendere a pieno le tradizioni isolane. Non a caso, il sacerdote del piccolo centro oristanese ha ricevuto per più di quarant'anni scolaresche provenienti da ogni angolo dell'Isola. Un'esperienza ricordata con piacere da tanti visitatori, perché per Don Dore era un piacere non solo descrivere di volta in volta lo strumento, spiegarne la storia con dovizia di particolari, ma, sapendolo suonare, anche dare dimostrazione della sonorità prodotta.
Gli strumenti musicali più numerosi della collezione sono rappresentati da quelli a fiato. Fra i più noti su pipiolu, sas benas e le famosissime launeddas. Originali quelli a corda come la serraggia, che ha per cassa la vescica rigonfia ed essiccata del maiale. Poi ci sono i tamburi in tante e diverse versioni, con membrane di pelle di cane, d’asino, di capra e di gatto. Uno di questi è su trimpanu, dal suono ruvido e stridente. Veniva usato anticamente anche dai banditi per disarcionare i carabinieri a cavallo. «La sua fattura è particolarmente singolare - affermava Don Dore - si tratta di un cilindro in sughero del quale la base veniva ricoperta da una membrana di pelle di cane lasciato morire per fame e sulla quale scorre una treccia di crine di cavallo». Tra gli idiofoni, gli strumenti costruiti con materiali capaci di produrre suoni, da evidenziare quelli utilizzati ancora in alcuni paesi dell’Isola durante la Settimana Santa: sas matraccas, sas taulittas o sas rana e’ cannas che sostituivano, con il loro suono secco e il loro strepitio, il suono delle campane. Oltre agli strumenti musicali, il museo ospita diverse armi da fuoco risalenti alla fine dell'Ottocento e alcuni pugnali. Da ammirare, fra l'altro, un ostensorio in oro e argento dei primi anni del XIX secolo e un Crocefisso ligneo, un tempo conservato nella chiesa di Santa Maria di Boele, sommersa dalle acque del lago Omodeo.
Con il trascorrere del tempo, però,   anche il fisico e la tempra forte di don Dore inizia a dare segni di cedimento. La preoccupazione per la sorte del “suo” museo lo preoccupò fino agli ultimi giorni. Egli, considerando la variegata collezione una sua creatura, ebbe occasione di dire: “se l'isola vuol vivere, deve conservare la sua anima: e la musica per i sardi, come per tutti, è pane”. Continuò, fino a quando le forze glielo consentirono, a ricevere visite anche numerose. “Sinché le forze mi assisteranno continuerò a occuparmi del mio museo degli antichi strumenti musicali. Ma sarà bene pensare al futuro. Questa collezione è patrimonio della Comunità: vorrei restasse qui. Non è giusto che un domani sia penalizzata o, peggio, fatta a pezzi”, disse a chi gli parlava del futuro del museo.
Poi, dopo le prime avvisaglie della malattia, all’età di 79 anni, ricoverato ad Alghero, il 25 maggio 2009, ci ha lasciati: don Dore ha raggiunto il cielo, la casa del Padre, dove si sarà subito messo all''ascolto dei cori celesti e, con gioia,  avrà chiesto di provare gli strumenti musicali angelici. Così, in silenzio, il celebre parroco di Tadasuni se n'è andato, dopo una lunga vita trascorsa in mezzo alla sua gente, senza l’accompagnamento degli strumenti musicali umani, che tanto aveva amato, ma sicuramente di quelli celesti, si. Un grande vuoto, quello da Lui lasciato, dove risuonano, in maniera ancora più forte, le parole recitate da una sua parrocchiana nel famoso spot che lo aveva visto nel 2004 testimonial per l''8 per mille della Cei: "Come faremo senza di lui?".
Oggi la Sua canonica-museo, che accoglieva ogni anno più di 30.000 visitatori, è chiusa a tempo indeterminato. Gli strumenti sono stati presi in carico dagli eredi ma le diverse trattative, messe in moto dal Comune di Tadasuni per dare continuità al suo museo, non hanno ancora dato i frutti sperati. Sullo stato delle trattative l'amministrazione comunale preferisce mantenere uno stretto riserbo ma, a giudicare dal contenuto degli ultimi atti pubblici, la prospettiva di riportare a Tadasuni la Sua straordinaria collezione di antichi strumenti musicali non sembra più tanto incerta.  Ad alimentare l'ipotesi che l'accordo tra il Comune di Tadasuni e gli eredi del sacerdote scomparso nel 2009 sia più vicino, è l'incarico affidato al responsabile del Servizio amministrativo di redigere un protocollo d'intesa da sottoscrivere con i familiari al fine di acquisire o di gestire in comodato d'uso gli oltre 500 preziosi pezzi.  Trattenere a Tadasuni la preziosa eredità culturale lasciata da don Dore è apparsa sin da subito agli occhi di tutti la cosa più naturale da fare, per conservare intatto il patrimonio etnografico e per continuare ad esaltare l'importanza dell'opera divulgativa svolta dall'etnomusicologo, che certamente, come aveva ipotizzato, avrebbe voluto che così si concludesse la storia del Suo museo. 
Personalmente spero che un patrimonio di cultura cosi prezioso non prenda, come avvenuto per altri beni di altrettanto valore, strade diverse, che portano addirittura fuori dall’Isola. Don Giovanni Dore si rivolterebbe nella tomba!
Cia amici, a presto!
Mario

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