mercoledì, marzo 18, 2015

CHE FINE HA FATTO LA SPENDING REVIEW, DOPO LA RINUNCIA DI COTTARELLI? I RISPARMI SAREBBERO DOVUTI SERVIRE PER RIDURRE LE TASSE ED EVITARE IL POSSIBILE AUMENTO DELL’IVA.



Oristano 18 Marzo 2015
Cari amici,
nonostante il Ministro per l’Economia Pier Carlo Padoan si affanni a dire che «La spending review è viva e vegeta, e continuerà a essere un elemento guida per le decisioni del Governo», le Sue sembrano solo parole per “prendere tempo”, per tenere buoni i curiosi, dopo che ad Ottobre scorso “mani di forbice”, ovvero Carlo Cottarelli, Commissario per la Spending Review, si è dimesso dall’incarico per tornare al Fondo Monetario Internazionale, senza grandi rimpianti o lamentele da parte del Premier Matteo Renzi, con il quale un vero feeling non c’è mai stato.

I rumors sul successore continuano, anche se l'incertezza sul nome e la data di nomina del sostituto stentano ad arrivare. Il nome più accreditato per la sostituzione di Cottarelli è  quello di Yoram Gutgeld , il quale potrebbe  contare anche sull’aiuto del bocconiano Roberto Perotti. Si ufficializzerà a breve, sostengono gli ambienti vicini al Premier, tant’è che la nomina era attesa addirittura per giovedì scorso, anche se poi nulla è avvenuto. Certo la scelta del Presidente del Consiglio non è facile, considerata la delicatezza dell'incarico, e tutti i precedenti Commissari, dal primo fino a Cottarelli, hanno incontrato non poche difficoltà.

Lo spinoso problema della nomina del successore alla Spending Review non è il solo che tormenta il Premier: il Consiglio dei Ministri deve scegliere anche due Commissari della CONSOB, che pare verranno selezionati con un Bando Pubblico, come ha pubblicato anche l'Economist. L’urgenza dell’uomo nuovo al posto di Cottarelli appare ogni giorno più urgente: la spesa pubblica continua ad aumentare: solo pochi giorni fa la Cgia di Mestre che evidenzia un incremento della Cassa Integrazione di 27,4 miliardi in quattro anni. Inoltre, cosa di non poco conto, sui timidi accenni di ripresa economica grava la spada di Damocle di un ulteriore aumento dell’Iva (al 24%) e delle accise (cosa già prevista dall’ U. E. con la clausola di salvaguardia inserita nell’ultima legge di stabilità per rassicurare Bruxelles): 12,4 miliardi il prossimo anno, 17,8 nel 2017 e 21,4 nel 2018. Una incredibile valanga di nuove tasse, dunque, che andrebbe a colpire proprio i consumi e gli investimenti.
Il sostituto di Cottarelli dovrà, spiegano a Palazzo Chigi, rastrellare subito non meno di 10 miliardi, da inserire nella legge di stabilità del 2016, per evitare almeno l’aumento dell’Iva. Dieci miliardi che andrebbero ad aggiungersi ai 4 del 2014 e ai 14 riferiti a quest’anno. Con questo tesoretto messo da parte, incrementato dai risparmi che il calo dello spread ha creato e sta continuando a creare sul risparmio di interessi sui titoli di Stato, il Governo punterebbe ad una reale e permanente riduzione del carico fiscale: in pratica una riduzione del cosi detto cuneo fiscale del lavoro dipendente e, forse, un’estensione anche agli autonomi del bonus da 80 euro.
La scelta di Gutgeld e Perotti da parte di Renzi risulterebbe funzionale verso il nuovo obiettivo (conoscendo le loro tendenze e dove andrebbero a tagliare), e consentirebbe il rastrellamento dei 10 miliardi necessari non colpendo le pensioni, come aveva in un primo momento ipotizzato Cottarelli, ma andando ad intaccare aree finora non sfruttate, come il settore delle infrastrutture e dei trasporti pubblici locali, oltre che le Aziende Municipalizzate. L’approccio della “nuova spending review”, fanno capire da Palazzo Chigi, sarà molto diverso da quello drastico utilizzato da Cottarelli. Il nuovo indirizzo in  particolare non si limiterà a cercare di ottenere ulteriori risparmi, ma cercherà sopratutto di portare reale innovazione e piena riqualificazione in tutti i settori di spesa della pubblica amministrszione.
Di lavoro da fare, per svecchiare una macchina dello Stato obsoleta come la nostra, ce n’è un'immensità! Nonostante la riforma Fornero delle pensioni, il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici, la centralizzazione degli acquisti, i tagli ai ministeri ed agli Enti locali, la spesa pubblica non solo non si è fermata ma continua ad aumentare. Basti pensare che anche rispetto al PIL le uscite correnti sono in deciso aumento: nel 2010 l’incidenza sul prodotto interno lordo era del 41,4%, mentre nel 2014 ha toccato il 42,8, complice anche la recessione. A gravare di più sulla spesa sono i “consumi intermedi” (manutenzione ordinaria, spese energetiche, mezzi di trasporto, ricerca e formazione), saliti del 3,4% in quattro anni, per un importo complessivo di 3 miliardi di Euro. La coperta, a ben guardare, risulta sempre più corta.
I dati impietosi evidenziano anche un aumento delle uscite per il welfare, a causa del bonus da 80 euro e dell’invecchiamento della popolazione (che ha influito sull’aumento della spesa previdenziale: più 10%), con un aggravio di ben 29,6 miliardi. In totale la Pubblica Amministrazione lo scorso anno è costata agli italiani 692,4 miliardi! La risultante è che il debito pubblico complessivo, secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia, a Gennaio è salito di 31 miliardi, raggiungendo quota 2.167,7 miliardi di euro. Vicinissimo al record storico del luglio scorso!
Che dire cari amici? Vi sembra una situazione che può essere lasciata senza ricorrere ad urgenti interventi, soprattutto dopo gli ultimi scandali che vedono coinvolto anche il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, con razzie del pubblico danaro di ingentissimo importo? Io penso proprio di no! La riforma di tutta la struttura pubblica è senz’altro prioritaria rispetto a tutto il resto: solo così l’Italia potrà davvero uscire da un tunnel che da troppo tempo ci costringe tutti al buio più totale.
Ciao.
Mario

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