lunedì, novembre 23, 2015

DALL’OLIVO ALL’OLIO, UNA STORIA LUNGA MILLENNI. LA SARDEGNA, TERRA DOVE QUEST’ORO BRILLA PIÙ DEL METALLO PREZIOSO.



Oristano 23 Novembre 2015
Cari amici,
pochi giorni fa ho appreso, durante le mie quotidiane scorribande su Internet, di una piccola azienda sarda di cosmetica che utilizza il nostro prezioso olio extra vergine di oliva nella preparazione di diversi prodotti per la cura della persona: si tratta della “NATÙA”, piccola azienda sarda di cosmesi. Ebbene, per potervi parlare più compiutamente di questa nuova “impresa” sarda, voglio prima fare con Voi un breve excursus sulla storia millenaria di questo prodotto, che ha attraversato i secoli rimanendo per l’uomo uno straordinario dono di Dio, capace non solo di alimentarlo ma anche di curarlo nel migliore dei modi. Ecco dunque la storia dell’olivo e del suo prezioso olio. Pensate che in sardegna è molto probabile che la coltivazione dell'olivo fosse addirittura praticata in epoca nuragica!
L’olivo, o ulivo, fa parte della storia dell’uomo da millenni: nella mitologia, oltre che indicare sacralità, era simbolo di pace (la colomba biblica tornò da Noè con un ramoscello d’olivo nel becco), ed ha continuato a camminargli a fianco, sempre da protagonista, fino ai nostri giorni. Nella civiltà greca l’ulivo aveva un suo nume tutelare, Glaucopide, dea dagli occhi brillanti come le sue foglie verde argento, e per questo ritenuti portatori di luce e simbolo di sapienza. Fu Atena a piantare il primo ulivo, albero che, per millenni, con i suoi frutti, avrebbe dato origine ad un succo meraviglioso che gli uomini avrebbero potuto usare in tanti modi: dalla preparazione dei cibi alla cura del corpo, dalla guarigione delle ferite e delle malattie, a mezzo di illuminazione per le abitazioni durante la notte.
Fu Solone (640-561 a.C.), poeta, legislatore e arconte (uno dei nove capi ateniesi) a diffondere la coltivazione dell’olivo, ponendolo sotto la protezione di Zeus. Da allora l’importanza del frutto degli ulivi divenne strategico: oltre che per l’alimentazione e l’illuminazione l’olio divenne un balsamo utilizzato anche nello sport; i vincitori delle varie competizioni, venivano premiati con denaro, medaglie d’oro e d’argento ed anche con olio d’oliva, fornito in vasi riccamente ornati. Erano i funzionari delegati allo sport gli incaricati alla distribuzione dell’olio nei centri sportivi in Grecia e i costi sostenuti erano addebitati alle casse pubbliche.
L’importanza attribuita all’olio d’oliva dalla civiltà greca passò ben presto anche a quella romana: nel periodo di Giulio Cesare a Nerone, e successivamente fino agli ultimi imperatori, le preziose “donazioni d’olio” diventarono una consuetudine tale che il traffico di olio aumentò notevolmente, portando lo Stato a fare grandi incette ufficiali di olio d’oliva per le sue riserve. Narra lo storico Polibio (218 a.C.) che durante la stagione invernale era d’uso che una dotazione di olio d’oliva venisse distribuita ai soldati, che lo usavano anche per proteggersi dal freddo ungendosi.
In Medio Oriente, Paesi come la Palestina, Siria e Creta, coltivarono fin dall’antichità l’ulivo. In Israele i re David e Salomone diedero agli ulivi una eccezionale importanza: il primo pose addirittura a guardia di piantagioni e depositi funzionari regi, il secondo pagò i carpentieri di Tiro, che avevano lavorato al Tempio di Gerusalemme, con 20.000 bath di olio (1 bath=22 lt). Anche in Egitto e in Palestina, dove vivevano i Filistei (da loro viene il nome di Palestina), l’olio d’oliva era un prodotto prezioso, utilizzato per l’illuminazione e i balsami, esportato anche in Egitto. L’ulivo si diffuse ben presto in tutta la fascia Mediterranea, da Oriente ad Occidente, in particolare nell’Italia meridionale e Sicilia, nella prima fascia africana e nella Spagna.
In Sardegna si ignora l’epoca esatta della prima apparizione dell'Olea europea, ferma restando la certezza della presenza millenaria nell’Isola dell’olivastro, la cui presenza è tutt’ora visibile; alcuni ritengono che l’olivo poteva essere già presente in Sardegna, in forme selvatiche spontanee, ben prima dell’arrivo delle civiltà greche e fenicie. Gli esemplari di ulivi e olivastri millenari ancora presenti il Sardegna, seppure rari e isolati, fanno ipotizzare che questa pianta ed il suo prodotto, l'olio d’oliva, fossero già presenti ed in uso fin dall'epoca nuragica. Questa presunzione è supportata anche dal fatto che risultano ben conosciute, in epoca nuragica, le tecniche di estrazione dell’olio di lentischio, usato anche per l’illuminazione, proveniente dalla flora spontanea che ricopriva e ancora ricopre vaste aree della nostra Isola.
I frequenti contatti commerciali che avvenivano tra la Sardegna e le altre aree del Mediterraneo consentono oggi di affermare che, oltre alle importazioni metallifere, fra il mondo nuragico e la civiltà Micenea ci fosse un vario interscambio, tra cui anche una certa importazione di olio d’oliva, prodotto dagli uliveti coltivati in quelle terre, già a partire dal III millennio a.C. L’importazione di olio d’oliva in Sardegna, proveniente dalle diverse aree Mediterranee, è suffragata dai numerosi ritrovamenti di materiali connessi alla sua diffusione. In Sardegna; a dimostrazione di ciò, sono state rinvenute molte anfore, del tipo normalmente utilizzato per il trasporto dell'olio, risalenti al III e IV secolo d.C. e rinvenute nei porti sardi di Karales (Cagliari), Nora, Bithia, Sulci, Neapolis, Tharros e Turris Libisonis (Porto Torres).
La diffusione dell’ulivo in Sardegna è continuata nei secoli, e, tra alti e bassi, è arrivata fino ai nostri giorni. Nel 1297 Papa Bonifacio VIII, per porre fine alle lotte tra Pisa e Genova, cedette la Sardegna, come intero feudo, al Re d’Aragona: da quel momento per noi sardi iniziò il dominio spagnolo che si protrarrà per quasi 400 anni. La dominazione spagnola rappresentò la svolta decisiva per dare impulso all’olivicoltura in Sardegna, trasformando mediante gli innesti una grande quantità di olivastri in ulivi. Fu il Viceré Don Giovanni Colonna, Barone d’Elda, il 27 febbraio del 1572, ad emanare le prime disposizioni legislative che incentivavano l'innesto degli olivi selvatici, trasformandoli così in ulivi che aumentarono notevolmente la produzione d'olio.
La dominazione Aragonese si concluse con l’avvento in Sardegna della dominazione Sabauda, a partire dal 1714. I Savoia in Sardegna proseguirono l’opera di tutela e diffusione dell’olivicoltura, grazie anche all’azione di spinta svolta nel secolo XVIII da due grandi e colti conoscitori dell’agricoltura sarda: il piemontese Francesco Gemelli ed il cagliaritano Giuseppe Cossu. Furono loro ad ispirare gli atti legislativi emanati in favore dell’agricoltura in generale e dell’olivicoltura in particolare. Nel 1820, con l’emanazione del Regio Editto delle chiudende, in seguito al quale la privatizzazione delle terre creò in Sardegna una nuova “borghesia agraria”, formata, questa, dai nuovi proprietari terrieri, che incentivò ulteriormente l’olivicoltura che continuò ad estendersi e perfezionarsi.
Questo processo di trasformazione fondiaria fu in qualche modo agevolato da numerosi provvedimenti legislativi, tra i quali ne spicca uno curioso, quello specifico sugli oliveti, emanato il 3 Dicembre del 1806. Le disposizioni di questo Editto concedevano il titolo di cavaliere a chi avesse piantato almeno 4.000 olivi; inoltre veniva autorizzata la chiusura e la privatizzazione delle terre nelle quali crescevano olivastri, a condizione che questi venissero innestati. Questo Editto contribuì a diffondere ulteriormente la coltivazione dell'ulivo: ai tradizionali oliveti già impiantati nel XVI e XVII secolo, se ne aggiunsero molti altri, in diverse zone dell’Isola. Ancora oggi in Sardegna sono noti alcuni latifondisti che godono del titolo nobiliare acquisito all’epoca dell’editto del 1806; a questi i popolani avevano affibbiato il titolo di Barone de olia, Barone dell’olivo, per distinguerli dai "Baroni veri”, quelli che possedevano il titolo nobiliare conferito dal Re o dai Giudici.
Questo complesso di normative incentivanti fece sì che in Sardegna alla fine del XIX secolo gli oliveti coprivano una superficie di 24.000 ettari su un totale di 632.000 di terreno coltivato. Nel Maggio del 1951 nacque l'ETFAS, Ente per la trasformazione fondiaria e agraria in Sardegna; attraverso questo Ente fu messo in atto un gigantesco piano di trasformazione agraria: la riforma prevedeva l'espropriazione delle terre incolte, e la successiva bonifica di queste; fra il 1952 e il 1954 furono bonificati 65.271 ettari di terreni che furono dissodati e messi a coltura. Furono realizzati vigneti, oliveti, agrumeti e frutteti, oltre che avviata una ulteriore massiccia   operazione di innesto di olivastri ad olivo.
Il resto è storia recente. Dopo un periodo di abbandono l’olivicoltura sarda ebbe un nuovo impulso con l’utilizzo dei finanziamenti comunitari assegnati dai regolamenti CEE 2052/88 e CEE 2081/93. Gli aiuti comunitari, oltre alla ristrutturazione dei vecchi impianti, hanno consentito di sviluppare anche l’olivicoltura da mensa, con la realizzazione di nuovi oliveti razionali, irrigui, ubicati in terreni idonei e non più in aree marginali. Oggi la superficie dedicata ad oliveto è di circa 40.000 ettari. La produzione sarda, tuttavia, resta deficitaria: a fronte di una produzione media annua di olio d’oliva di 80-90.000 quintali, la Sardegna importa altrettanti quantitativi per il proprio fabbisogno alimentare.
Cari amici, ho voluto riportare la storia dell’ulivo e dell’olio prodotto da questa pianta per consentirmi, domani, di potervi parlare più compiutamente di una “bella storia”, tutta sarda: la nascita nella nostra Isola di una piccola ma interessante fabbrica cosmetica, che, per funzionare, utilizza proprio lo straordinario olio d’oliva prodotto dagli ulivi di Sardegna. Questa Azienda porta il nome di “NATÙA”, e fabbrica degli interessantissimi prodotti che domani vedremo in modo dettagliato!

Grazie della Vostra attenzione, a domani. 
Mario


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