martedì, febbraio 09, 2016

GENERAZIONE DIGITALE? ARRIVA A SCUOLA LA RIVOLUZIONE INFORMATICA. CON “LA BUONA SCUOLA” SI CERCA DI FORMARE LE NUOVE GENERAZIONI, NATE DIGITALI.

Oristano 9 Febbraio 2016
Cari amici,
Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, attraverso il Piano Nazionale Scuola Digitale intende attuare quella riforma che il Governo, per riposizionare la scuola italiana nella società dell’informazione e della tecnologia, ha previsto con l’emanazione della Legge 107/2015, meglio nota come legge della "Buona Scuola". A sentire il Governo la riforma è un pilastro fondamentale del rinnovamento scolastico: fissa le priorità e le azioni da svolgere, stabilisce l’importo degli investimenti, dopo aver recuperato le risorse necessarie. Apparentemente la riforma non è un progetto calato dall’alto, in quanto intende operare in modo collaborativo: creare le nuove opportunità che la scuola richiede attraverso una continua collaborazione tra Ministero, Regioni, ed Enti locali, promuovendo un'alleanza capace di innovare concretamente la scuola italiana.

Per varare questa riforma epocale Renzi ha inteso mettere in atto una profonda trasformazione culturale, che, partendo dalla scuola, possa coinvolgere pienamente anche le famiglie, sia quelle dislocate nei centri urbani più affollati che quelle delle periferie più isolate. Sarebbe banale pensare che un piano così complesso, per poter “cambiare verso” alla scuola di oggi, si potesse limitare all’inserimento nelle classi semplicemente della nuova tecnologia! Questa è solo una parte, certamente importante del rinnovamento, ma per introdurre variazioni complesse è necessario ben altro: per esempio “ripensare ex novo” la didattica, gli ambienti di apprendimento, le modalità di istruzione degli studenti, la formazione dei docenti, dando vita ad un nuovo “schema rivoluzionario”, capace di mandare in soffitta il vecchio sistema educativo, sostituendolo completamente.
Centrare l’obiettivo di una riforma reale, promuovendo e diffondendo il cambiamento nella scuola, necessita di un epocale cambio delle metodologie didattiche in uso, aprendosi senza remore all'uso del digitale sia da parte dei docenti che degli alunni, senza scordare le famiglie. L'Italia, rispetto alla maggioranza dei Paesi europei, è in ritardo per quanto riguarda l'uso dei mezzi digitali all'interno delle scuole. Lo rivela una ricerca dell'Ocse. Nello studio relativo al Piano nazionale italiano per la Scuola Digitale, presentato a Roma al Ministero dell’Istruzione, è emerso chiaramente che nell’uso della tecnologia a scuola siamo in ritardo rispetto alla maggioranza degli altri Paesi: nel 2011 solo il 30% degli studenti italiani di terza media utilizzava le ICT (Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione) come strumento di apprendimento durante le lezioni di scienze, rispetto a una media del 48% negli altri Paesi dell’Ocse.
L’indagine ha rilevato che nelle scuole elementari c'è mediamente un computer ogni 15 bambini: circa uno per classe, o poco più. Alle medie un PC ogni 11 studenti, mentre alle superiori se ne conta uno ogni 8 ragazzi. Inoltre, solo in un'aula su cinque delle scuole italiane è installata la LIM, la Lavagna Interattiva Multimediale, che 8 scuole su dieci sono connesse a Internet, ma solo in metà delle classi si ha l'accesso alla rete. Ora, col varo della Legge 107/2015, si spera che anche l’Italia possa avvicinarsi alle più alte medie registrate negli altri Paesi.
Insomma, cari amici, la svolta sembra vicina anche da noi: potremo dire, se tutto funzionerà per il meglio, che anche i nostri ragazzi cambieranno modo di apprendere facendo continua ricerca (con Internet è possibile), dichiarando una volte per tutte la fine del nozionismo statico. A parole sembra tutto facile, ma per attuare una riforma così complessa, non basta certo dotare le classi di lavagna interattiva e usare i tablet al posto dei libri: la rivoluzione digitale nella scuola si può attuare solo se oltre a Internet e ai tablet, la riforma verrà completata con il forte coinvolgimento del corpo docente, con l’adozione di moderne metodologie didattiche, integrate dalle nuove tecnologie. In parole povere si tratta di mandare in soffitta la vecchia lezione frontale, trasmissiva ed enciclopedica, sostituendola con quella che coinvolge attivamente e non passivamente gli studenti.
Sarebbe sicuramente una rivoluzione epocale: l’applicazione di questa “didattica nuova”, fatta di costante ricerca e di "scoperta in tempo reale" fatta dagli studenti, che passerebbero da uno studio passivo e poco motivante ad uno molto più vero e coinvolgente, di maggiore soddisfazione, sia per chi studia che per chi insegna. Perché ribadisco che tutto questo sarebbe una rivoluzione epocale? Perché il Pianeta Giovani, ben più noto come “Generazione Digitale”, rifiuta il vecchio concetto nozionistico calato dall’alto, essendo in possesso di quelle nuove competenze tecnologiche che a noi invece sono poco note. I nativi digitali, che hanno ‘succhiato latte e computer’, hanno acquisito una tale dimestichezza con i nuovi strumenti tecnologici, in quanto questi hanno permeato tutti gli ambiti della loro vita fin dalla nascita: dai giochi infantili fino alle relazioni sociali adolescenziali! Ecco il motivo per cui a loro sta stretta la vecchia scuola nozionistica calata dall'alto, che rifiutano per pretendere una nuova scuola più consona, quella dell’innovazione costante, portata avanti da loro insieme ai docenti, "scuola di apprendimento nuova", scuola del talento e della creatività senza confini.
Cari amici, credo che la strada intrapresa vada nella giusta direzione, e porterà certamente buoni frutti se applicata in modo corretto. Abbandonato il nozionismo gli studenti, novelli Indiana Jones, si trasformeranno, da insipidi e annoiati studenti in “ricercatori attivi”, veri esperti curiosi, protagonisti delle scoperte portate avanti con i docenti in modo paritario. Il fatto poi che ogni singola ricerca, il più delle volte portata avanti in gruppo, sia immediatamente disponibile (nello spazio e nel tempo), consente un maggior dialogo di squadra con gli altri ragazzi, contribuendo a formare “gruppi di lavoro” coesi (docente compreso), per l’ottenimento del miglior risultato.
Ben venga, dunque, la Buona Scuola, quella dei fatti, però, non delle belle parole!
A domani.

Mario

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