domenica, febbraio 14, 2016

LA RISCOPERTA DEGLI ANTICHI SAPORI: L’AGRESTO. STUDI RECENTI HANNO FATTO RIVIVERE QUEST’ANTICO CONDIMENTO.

Oristano 15 Febbraio 2016
Cari amici,
Personalmente l’ho sempre sostenuto: non c’è futuro senza un legame con il passato. In natura, lo sappiamo, solo un albero con ampie e profonde radici può avere vita lunga e continuare a dare nel tempo fiori e frutti copiosi. Questa continuità si tocca con mano anche nell’evoluzione costante in tutti i campi inerenti la vita dell’uomo; nella continua ricerca della perfezione, nella sperimentazione di nuovi processi e di nuovi prodotti, il nuovo ha (o dovrebbe avere) sempre un riferimento al passato, di cui il nuovo, sotto certi aspetti, è figlio.
Certo, questo non vuol dire che determinati prodotti o processi applicati non subiscano nel tempo cambiamenti anche epocali, ma certamente il nuovo che ne deriva sarà sempre frutto anche delle esperienze del passato. Ho fatto questa premessa, oggi, per parlarvi della riscoperta di un antico condimento: l’AGRESTO. Forse molti di Voi non conoscono neppure questo prodotto, che invece in passato ha avuto momenti di grande splendore. Vediamo insieme cos’era e cos’è, cercando anche i motivi della sua riscoperta.
L’agresto (Il nome deriva dal latino "Agrestus") è un condimento che si ricava dalla spremitura dell’uva immatura (ne esiste anche una particolare varietà chiamata proprio agresto o agresta); il succo di quest’uva, impossibile da bere, veniva usato in cucina come ingrediente acidulo per insaporire molti cibi (anche al posto dei limoni), spesso anche per nascondere alcuni odori scarsamente gradevoli della carne e ancor più del pesce, se mal conservati. Oltre che per sue proprietà gastronomiche questo condimento, già conosciuto ai tempi dei romani (gli antichi romani ricavavano l’Agreste dall'uva di secondo fiore, quella che matura in Novembre), era apprezzato anche per le sue proprietà medicamentose, ben decantate da Dioscoride, o addirittura magiche. Si riteneva, per esempio, che servisse per far partorire le mucche o che addirittura agevolasse l’innamoramento tra un pretendente e la donna amata. Forse, però, l’utilizzo di un prodotto come l’agresto in quegli anni così bui, era maturato nella logica che nulla poteva essere buttato via ma recuperato.
Successivamente questo succo d’uva trovò ampio spazio nella cucina medioevale, come si può rilevare da numerose testimonianze scritte in cui si descrive il suo uso in cucina e anche il sistema di preparazione; lo storico dell’alimentazione J.L Flandrier, ha calcolato che l’agresto era presente nel 42% delle ricette riportate nel celebre trattato di cucina medioevale Viandier de Taillevent. Nei testi di cucina del sedicesimo e diciassettesimo secolo (fra i più importanti ‘cantori’ de questo condimento si ricordano Bartolomeo Stefani, cuoco della famiglia Gonzaga di Mantova, Cristoforo di Messisburgo, cuoco presso il Cardinale di Ferrara degli Estensi e Vittorio Lancelotti, cuoco presso il camerlengo di Santa Chiesa in Roma), l’agresto è osannato e decantato.
In Toscana, dove il condimento si affermò maggiormente, il condimento divenne un prodotto assolutamente unico e privilegiato, anche se col tempo, nell’era moderna, lentamente uscì quasi di scena, sostituito da altri prodotti più adatti al ‘fast lunch’. Questo condimento tipico toscano, però, recentemente ha avuto la fortuna di essere stato riscoperto.
A svelare ai meno esperti le origini e gli usi di questo condimento ci ha provato il libro “Agresto. Un condimento ritrovato” (C&P Adver Effigi, 2015) curato da Giancarlo Scalabrelli, docente dell’Università di Pisa, e da Aurelio Visconti.
A partire da diversi vitigni presenti nell’Amiata, oltre che dal Sangiovese, i ricercatori hanno ottenuto vari tipi di agresto da uve da agricoltura biologica, realizzando un condimento con proprietà antiossidanti, un elevato contenuto di acidi organici e catechine, privo di conservanti e senza alcool, dato che la sua produzione non richiede alcuna fermentazione. Alla base della sua preparazione c’è una particolare lavorazione dell’uva. L’agresto si ottiene dopo la concentrazione a caldo e l’eventuale aggiunta di erbe e spezie. Accanto a storia e ricette, il volume illustra i risultati dell’attività sperimentale nata dalla collaborazione tra il dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali dell’Ateneo pisano e la ditta Lombardi e Visconti di Abbadia San Salvatore.
“Pur esistendo un’antica ricetta, il nostro obiettivo era di ottenere un agresto peculiare, da utilizzare come ingrediente per i piatti tipici del territorio – spiegano gli autori del volume - in modo da soddisfare una nicchia di consumatori che gradiscono un condimento genuino, ottenuto con metodi naturali, e di gusto facilmente riconoscibile. L’agresto viene attualmente commercializzato in piccole quantità, ma essendo particolarmente richiesto dalla ristorazione toscana, è probabile che in futuro il suo utilizzo possa espandersi”.
Cari amici, tornando alle mie considerazioni iniziali, plaudo a questa ri-scoperta. Sono certo che, come è già avvenuto per molti altri ritorni al passato (seppur in chiave moderna) anche l’agresto possa, anzi debba, riprendersi il suo palcoscenico culinario. Per la Vostra curiosità ecco una piccola ricetta che potrebbe farvelo non solo conoscere ma anche…apprezzare!
SALSA DI AGRESTO.
INGREDIENTI: 400 grammi di uva bianca acerba, i gherigli di 6 noci fresche, 50 grammi di mollica di pane, prezzemolo, una cipolla piccola, uno spicchio d’aglio, un cucchiaino di zucchero, un bicchierino di aceto di vino bianco, 2-3 capperi dissalati, 2 acciughe dissalate e deliscate, sale e pepe q b.
ISTRUZIONI DI PREPARAZIONE.
Mondate e lavate l’uva, staccatene gli acini e spremeteli eliminando i vinaccioli; raccogliete il succo ricavato in un mixer, aggiungete il prezzemolo e la cipolla, la mollica del pane, l'aglio, lo zucchero, le noci, i capperi e le acciughe. Quando tutto sarà ben miscelato uniformemente ponete il composto in una casseruola con l'olio e fate scaldare senza far bollire (girando continuamente), aggiungendo poi l'aceto e spegnendo la fiamma. Se il composto risultasse troppo denso, diluitelo con una piccola aggiunta di olio e/o aceto.
Trasferite ora la preparazione in una salsiera, decorando a piacere con qualche gheriglio di noce e foglie di prezzemolo e servendo come accompagnamento alle carni. Questa antica salsa, pur partendo dall’antica ricetta, è stata opportunamente adeguata ai tempi nostri, anche se non troppo. Chi la prova la troverà certamente ottima sui bolliti, come condimento di insalate verdi in foglia o per la carne alla tartara, anche se uno degli utilizzi più sfiziosi è quello di insaporire, in modo eccellente, la zuppa di cipolle. Buon appetito!
Ciao, a domani.

Mario

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