venerdì, luglio 14, 2017

IMPRENDITORI ECCELLENTI. LUCIANO TAMINI, LEADER DELL’AZIENDA OMONIMA, HA LASCIATO 4 MILIONI DI EURO IN REGALO AI SUOI DIPENDENTI. QUANDO IMPRENDITORIA ED ETICA VANNO DI PARI PASSO.



Oristano 14 Luglio 2017
Cari amici,
Avevo già avuto modo di riportare una notizia molto simile il 14 Gennaio dello scorso anno. Chi vorrà documentarsi potrà leggere con curiosità quanto scrissi allora su questo blog (ecco il link, http://amicomario.blogspot.it/2016/01/capitale-e-lavoro-quando-letica-unisce.html). La notizia che riportavo parlava di un certo Piero Macchi, fondatore della Enoplastic, un imprenditore diventato un grande esempio da imitare. Macchi, a Bodio Lomnago era titolare della Enoplastic, e, prima di 'mollare' decise di lasciare un milione e mezzo di euro ai suoi operai: un bel regalo di Natale recapitato a fine anno in busta paga. Ora un altro saggio imprenditore milanese, Luciano Tamini, ha fatto la sua stessa scelta, lasciando in eredità ai propri dipendenti una consistente somma di denaro: “Per lasciare loro un ricordo”, ha lasciato scritto.
Luciano Tamini era un vecchio e intelligente imprenditore del secolo scorso; prima di morire, a circa 84 anni, nel suo testamento ha voluto beneficiare i suoi dipendenti con un lascito niente male: circa 4 milioni di euro. Luciano, classe 1932, nei tanti anni di lavoro è riuscito sempre a tenere saldamente le redini della sua fabbrica di Melegnano, che produceva rinomati trasformatori. Responsabilità cadutagli presto addosso, sin da quando aveva 21 anni, a seguito della prematura morte del padre, Carlo Tamini, che l'aveva fondata nel 1916. Dopo un’intera vita di lavoro, dedicata anima e corpo all’azienda, quando gli fu diagnosticata una malattia che non lasciava scampo, ha pensato prima di tutto ai "suoi" dipendenti, stabilendo di lasciare loro (da sempre considerati i veri artefici delle fortune della sua azienda) una cifra considerevole: be 4 milioni di euro.
Alla sua morte, avvenuta il 1 Luglio scorso, i circa 300 dipendenti della Tamini (ora incorporata nel Gruppo Terna), che erano ancora in servizio hanno ricevuto una sorpresa: 15 mila euro ogni operaio e 10 mila ogni impiegato; "perché è giusto dare qualcosina in più a chi guadagna meno", ha scritto nelle sue ultime volontà. 
Veramente una gran bella storia italiana, quella della Tamini, fondata dal padre Carlo nel 1916. Come racconta con dovizia di particolari il Corriere della Sera, Carlo Tamini aprì a Milano un'officina di riparazioni meccaniche, ma in poco tempo l’officina iniziò a crescere e a produrre trasformatori elettrici, destinati agli altoforni dei "tondinari" del bresciano ed alla nascente industria siderurgica. Alla morte del padre, il giovane Luciano prende in mano l’azienda, ormai affermata, che produce trasformatori sempre più grandi, richiesti anche dall'estero. In poco tempo la fabbrica di Melegnano diventa leader mondiale del settore, venendo definita addirittura "la Ferrari dei trasformatori".
Nel 2014 anche per quest’azienda arriva le prime difficoltà: il lavoro rallenta a seguito della crisi mondiale e, anche se i bilanci continuano a essere in attivo, è necessario fare scelte sofferte: l’azienda entra a far parte del gruppo Terna, colosso italiano della distribuzione di energia, per assicurare "un futuro al marchio e soprattutto ai lavoratori". "Non è mai stato licenziato nessuno, non è mai stata fatta un’ora di cassa integrazione e non ci sono debiti con le banche", ripeteva con orgoglio Tamini, divenuto nel frattempo presidente onorario.
Nel 2016 fu celebrato il centenario della Tamini e per l'occasione venne pubblicato il libro "Il cammino del vecchio leone" che ripercorreva la storia di questa "eccellenza italiana". Pochi mesi dopo, però, con il cambio ai vertici di Terna, anche alla Tamini si iniziò a parlare, per la prima volta in assoluto, di cassa integrazione. Luciano Tamini si schierò dalla parte dei dipendenti, opponendosi con fermezza, ma con il risultato, nel Febbraio scorso, di venire addirittura estromesso dalla carica di presidente onorario. Poco gli importava: Lui voleva difendere i propri dipendenti fino all’ultimo.
Alla sua morte, come detto prima, le sue ultime volontà sono state destinate ai “suoi dipendenti”: quelli che con il loro impegno e il loro lavoro, fatto sempre senza risparmio, avevano fatto grande l’azienda. Al suo funerale, però, anche i nuovi manager che lui aveva osteggiato fino alla fine, hanno deciso di inchinarsi di fronte al "vecchio leone" e hanno accolto una delle sue ultime volontà: otto ore di permesso a tutti i dipendenti, affinché potessero partecipare al commiato.
Cari amici, che coniugare etica e imprenditorialità non sia facile è cosa nota. Capitale e lavoro sono stati sempre su due fronti opposti, ma il segreto sta proprio nel saper conciliare le due esigenze! La lotta continua tra l'imprenditore e l'operaio non porta mai bene, perchè l'uno è strettamente legato all'altro. Luciano Tamini ha cercato proprio questo: conciliare saggiamente entrambe le esigenze, riuscendoci.
La realtà, purtroppo, appare però molto diversa. A ben vedere, gli imprenditori come Piero Macchi e Luciano Tamini, sono sempre di più delle “mosche bianche”.
A domani.
Mario


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