domenica, settembre 24, 2017

IL GRANDE BUSINESS DELL’ACQUA MINERALE: AL PRODUTTORE COSTA 2 EURO OGNI MILLE LITRI E NOI LA PAGHIAMO ANCHE 50 CENTESIMI A LITRO! E NON È DETTO CHE SIA MIGLIORE DI QUELLA DEL RUBINETTO…



Oristano 24 Settembre 2017
Cari amici,
Come ho avuto occasione di dire milioni di volte l’acqua è fondamentale per l’uomo. Dal primo utilizzo delle fonti campestri ai successivi acquedotti che portavano l'acqua nelle case per arrivare poi all’imbottigliamento delle svariate acque minerali, è stato un continuo cammino verso qualcosa in grado di soddisfare al meglio questo bisogno. Quella imbottigliata, frizzante o naturale, spesso viene preferita a quella del nostro rubinetto, perché è luogo comune che quella "di marca" abbia un sapore migliore. Questo ha fatto sì che il mercato dell’imbottigliamento si estendesse a dismisura, comportando un cambiamento dei nostri stili di vita, tesi alla ricerca di una maggiore salute. Ebbene, se da un lato l'imbottigliamento e confezionamento dell’acqua ha reso pratico il suo trasporto e trasferimento nelle nostre case, le conseguenze, a ben guardare non mancano: a fronte di un super business miliardario, di dimensioni gigantesche, si contrappongono anche fattori negativi.
Si, in Italia l'acqua minerale è un business davvero enorme: agli stabilimenti che la imbottigliano costa 2 € circa ogni 1.000 litri e, a volte, risulta meno sicura di quella del rubinetto, che viene controllata con frequenza e alla quale non è permesso di avere più di 10 microgrammi per litro di arsenico, mentre nelle acque minerali possono esserne contenuti fino a 40/50 microgrammi per litro, senza l’obbligo di dichiararlo in etichetta. Lo stesso vale per le diverse altre sostanze contenute. La motivazione di tali differenze è che inizialmente, quando si iniziò ad imbottigliarla, l’acqua così preparata poteva avere indicazioni terapeutiche, dunque non seguiva la normativa ufficiale dell’altra acqua fornita dagli acquedotti.
Col passare del tempo gli stabilimenti di imbottigliamento hanno affinato le loro tecniche di vendita e, attraverso un enorme bombardamento pubblicitario, hanno creato un business che ha raggiunto livelli stratosferici. 
Se partiamo dalla considerazione che la materia prima utilizzata, l’acqua, ha un costo irrisorio (a leggere il rapporto ‘Regioni imbottigliate’, compilato da Legambiente e Altraeconomia, le aziende imbottigliatrici pagano 2 euro ogni 1.000 litri, ovvero appena due millesimi di euro per litro imbottigliato), dal momento che i canoni di concessione per le acque minerali stabiliti dalle Regioni sono estremamente bassi (si aggirano tra 1 e 2 euro a metro cubo), è facile calcolare i guadagni stratosferici dei fornitori.
Oggi le ditte produttrici pagano la concessione regionale in base agli ettari di suolo avuti in concessione e non in base ai volumi di acqua prelevati per l’imbottigliamento; invece, come suggerisce il rapporto di Legambiente, sarebbe necessario adeguarsi a quanto suggerito dalle normative europee, che da tempo chiedono di passare ad un sistema di tassazione “ambientale” per tutte quelle attività̀ che nel loro svolgimento causano un impatto sul territorio e sulle risorse naturali.
In questo caso, per esempio il canone minimo nazionale per le concessioni di acque minerali potrebbe essere pari ad almeno 20 euro a metro cubo, mentre adesso gli importi in molte regioni sono inferiori a 1 euro. Le regioni più virtuose, come il Lazio, applicano una triplice quota: per gli ettari, per i volumi emunti, per i volumi imbottigliati, rispettivamente di 65,21-130,42 euro per ettaro, 1,09 euro per metro cubo e 2,17 euro per metro cubo.
In pratica la situazione attuale consente alle industrie produttrici di acque minerali un altissimo plusvalore di vendita del prodotto. “Questo fa sì che questo settore, che vale 2 miliardi di euro, possa investire oltre 370 milioni di euro in pubblicità”, dice Luca Tancredi, curatore del libro della campagna ‘Imbrocchiamola’ di Altraeconomia. E questo fatto, ovviamente, spinge ancora di più i consumi. Le acque minerali sono state anche condannate dall’Antitrust per pubblicità ingannevole, eppure hanno continuato con gli stessi messaggi. Si tratta di una industria potente, contro la quale persino i giornali, spesso, preferiscono non agire. Questo il risultato della situazione attuale.
Il giro d’affari prima menzionato, pari a 2,25 miliardi di euro: è fatturato da circa 168 società per 304 diverse marche commerciali; non dimentichiamo, poi, che l’uso di oltre 6 miliardi di bottiglie di plastica (prodotte utilizzando 456 mila tonnellate di petrolio), determina l’immissione in atmosfera di oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2, senza considerare l’immensa pattumiera mondiale creata dalla plastica, che è riuscita a creare nel mondo addirittura (nell’oceano pacifico) un’immensa isola fatta interamente di plastica.

Cari amici, c’è qualcosa che non quadra in questo gigantesco business che sta dietro ad una immensità di bottiglie di plastica riempite d’acqua. L’abitudine tutta italiana di preferire l’acqua in bottiglia a quella del rubinetto ha innescato un meccanismo economico che porta immensi guadagni alle aziende imbottigliatrici e un’enorme consumo di risorse per il Paese, oltre ad alti livelli di inquinamento indotto e consumo di risorse.
Credo che sia necessario trovare dei correttivi importanti, non solo stare a guardare lamentandoci!
 Ciao, amici, a domani.
Mario


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